Quando ho deciso di imparare a cucinare ero un po’ preoccupata e ansiosa. Mi sono lanciata nell’impresa praticamente da autodidatta, consultando Il cucchiaio d’argento, Bibbia della cucina italiana, e nelle ricette c’era quasi sempre un ingrediente del quale non si diceva la dose precisa ma c’era scritto q.b. Appunto: quanto basta. Per questo ho sorriso allo scambio di battute tra i due protagonisti di questo film a proposito della preoccupazione di fronte al q.b. Perché nella vita non tutto è chiaro e pianificato dagli altri, c’è un momento nel quale devo affrontare quello spazio di libertà, devo trovare la misura giusta, la quantità necessaria, né troppo né poco. Ancora una volta, la cucina è metafora della vita.
Il film si gioca tutto nel rapporto tra Arturo, chef talentuoso ma con un problema nel controllare la sua aggressività, e Guido, un ragazzo con la sindrome di Asperger. Arturo è appena uscito di prigione e finisce di scontare la pena ai servizi sociali insegnando a cucinare ad un gruppo di ragazzi problematici tra i quali c’è proprio Guido, che dimostra grande talento ai fornelli e vuole partecipare ad un concorso culinario. Tra i due personaggi si instaura un legame che diventerà fruttuoso per entrambi, portandoli a cambiare positivamente il proprio destino. La partecipazione al concorso li porta a partire insieme, a vivere varie avventure, come nei più classici “road movie”, dove il viaggio dei due protagonisti diventa percorso esistenziale.
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