Candidatura Unesco per la cucina italiana

Siamo pienamente consapevoli del grande valore della cucina italiana e con grande soddisfazione accogliamo quindi la notizia che il Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, rappresentato dal Ministro Francesco Lollobrigida, e il Ministero della Cultura, rappresentato dal Ministro Gennaro Sangiuliano, lanciano la candidatura UNESCO della cucina italiana alla Lista Rappresentativa del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. E’ molto bello che si metta in gioco anche il Ministero della Cultura, perché la tavola è cultura, è arte.

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La tavola è donna

Tavolo o tavola? Leggo sul dizionario della lingua italiana: «Tavolo: Mobile formato da un piano di legno o di altro materiale, sostenuto perlopiù da quattro gambe, che serve per vari usi (è preferito a tavola quando sono espressi gli usi specifici e se non si tratta delle tavole da pranzo).» Quando ci si riferisce alla mensa apparecchiata, si usa quindi il termine al femminile. “A tavola” gridano le mamme e le nonne quando il pranzo è pronto. Se gridassero: “Al tavolo” i familiari resterebbero sbigottiti. Si parla del tavolo da lavoro, da disegno, del tavolo delle trattative, di quello operatorio. Ma in tema di convivialità, la tavola è donna. Così come sono femminili le divinità pagane del raccolto, dell’agricoltura, della terra. La cucina è donna, forse perché è così legata al tema della vita e chi più delle donne ha in mano i segreti della vita?

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Le trattorie: luoghi storici di cucina italiana

Mi piace andare al ristorante. Evito accuratamente i fast food ma sono anche un po’ diffidente nei confronti di certi ristoranti che propongono piatti troppo creativi, complicati, con abbinamenti fantasiosi ed eccentrici. Anche in questo caso “la virtù sta nel mezzo”, come diceva Aristotele: mi piace il locale curato e gradevole, dove gustare la cucina tradizionale, magari con un tocco di innovazione ma sempre nel rispetto della cultura gastronomica che ha reso l’Italia un’eccellenza nel mondo.

Ci sono trattorie che offrono piatti molto gustosi e che danno davvero soddisfazione al palato. Apprezzo l’eleganza della tavola e la cortesia del personale, ma non mi scandalizzo se in certe locande di campagna o nei rifugi in alta quota si presenta la cuoca con il grembiule ai fianchi che ad alta voce elenca i piatti del giorno. Se la cucina è buona, anche questa ospitalità schietta è molto gradita. Andando alla ricerca di informazioni sulla storia della cucina italiana, scopro che anche in passato i viaggiatori apprezzavano le nostre osterie, perché vi trovavano i sapori autentici e le atmosfere dell’Italia più simpatica e spontanea.

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Cosa ci offre il menu? Bellezza, storia e cultura

Ci sediamo al ristorante, il cameriere ci porge il menu che compulsiamo con curiosità ed interesse: già sentiamo l’acquolina in bocca. Quante volte lo abbiamo fatto eppure non è sempre stato così, il mondo della tavola è molto cambiato. Innanzitutto un tempo non si mangiava mai fuori casa, se non per necessità. Non esisteva il concetto moderno di ristorazione, al servizio di chi ha voglia di mangiare qualcosa di gourmet oppure di chi viaggia per turismo o per lavoro e sfrutta l’occasione per provare nuove esperienze gastronomiche. Oggi l’offerta è ampia, si va dalla pizzeria al ristorante stellato, dal fast food al locale chic, dalla trattoria di cucina regionale a quella etnica.

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Il Giorno del Ringraziamento: una tradizione da festeggiare in famiglia e a tavola

Per gli americani, il Thanksgiving Day è una festa molto significativa: da sempre, cade ogni quarto giovedì di novembre. Noi Europei la conosciamo grazie ai film, telefilm e serie TV nelle quali ad un certo punto immancabilmente i protagonisti sono tutti indaffarati nell’organizzazione del pranzo tradizionale, facendo il punto su quanti posti a tavola apparecchiare in base alla presenza di genitori, fratelli e sorelle, figli e nipoti; con l’arrivo di un fidanzato da presentare alla famiglia o di un amico che non è giusto lasciare da solo proprio in quel giorno.

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Halloween, Dìa de Los Muertos e le tradizioni di casa nostra

Avete visto il film d’animazione Coco (Pixar – Walt Disney 2017)? E’ la storia di un bambino messicano, Miguel, che sogna di diventare musicista. La vicenda si svolge durante il Dìa de Los Muertos, il Giorno dei Morti, una celebrazione piena di colori e atmosfere gioiose, densa di significato religioso. E’ un’eredità ancestrale delle culture preispaniche che si è ben armonizzata con la festa cattolica del Giorno di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti. Secondo la credenza popolare, i morti tornano ogni anno a visitare i propri cari. In tutte le case si preparano altari, rispettando delle regole ben precise: in primis non può mancare la fotografia del defunto, circondata dalle candele che restano accese durante tutta la notte. Viene lasciato anche del cibo: un bicchiere d’acqua per dissetare il defunto dopo il suo lungo viaggio, il sale come simbolo di protezione e poi vengono cucinate le pietanze preferite del defunto. Non può mancare il Pan de Muertos, un dolce tipico: la base è quella classica del pane, aromatizzata con l’anice o con l’acqua di arancio mentre in superficie si pratica una croce. Un gesto che i panificatori fanno spesso perché favorisce la lievitazione e la cottura, ma ricco anche di simbologia cristiana. 

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Il mio blog: cultura della tavola e bellezza della convivialità

Ogni tanto bisogna fermarsi e fare il punto su quello che si sta facendo. Il mio blog nasce nell’autunno del 2015 e da allora ne ha fatta di strada! Ho cominciato a scrivere le mie riflessioni sulla cultura della tavola, parlando di bellezza, di valori familiari e sociali connessi con il mondo del cibo e del vino e a poco a poco mi sono ritagliata una comunità di followers che condividono i miei pensieri e le mie passioni.

Non si tratta di un progetto unicamente virtuale, anzi posso dire che è estremamente reale: cosa c’è di più concreto di un buon pranzo in famiglia o con gli amici? Con i miei post vi racconto le cose che amo, quello che faccio; descrivo le belle cose che ci circondano, che possono arricchire di amore e amicizia la nostra vita. Mi accorgo che con molti di voi mi rispecchio, perché condividiamo una passione comune, la tavola come luogo di incontro e di amicizia, intorno alla quale si realizzano valori importanti: solidarietà, amore, relazione, compagnia, ascolto dell’altro, attenzione verso chi ha più bisogno, spirito di servizio e di accoglienza, rispetto della natura e senso del trascendente.

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“Quel che non ammazza, ingrassa”

Era un proverbio toscano citato spesso da mia suocera: mi ha sempre divertito, è decisamente efficace. Mi piacciono i proverbi, sono chiari aforismi che sanno rendere bene un concetto, più di mille parole. In questo caso, bisogna andare indietro nel tempo, quando nelle povere famiglie contadine non sempre era possibile mettere in tavola cibo gustoso e se i bambini storcevano il naso davanti al piatto la mamma diceva appunto: «Quel che non ammazza, ingrassa»: è comunque commestibile, non fa male e alla fine farà pure bene, vi farà crescere.

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La tavola del pellegrino di Santiago de Compostela

Il pellegrinaggio è una pratica antichissima: si intraprende per fare penitenza, per devozione, per un maggiore incontro spirituale con Dio, per vivere un’esperienza personale intensa. Si abbandonano le proprie abitudini e comodità e si affronta la fatica e il disagio del cammino, spinti dalla bellezza e dall’importanza dell’obiettivo, della meta. Uno dei cammini più famosi è certamente quello di Santiago de Compostela, sulla tomba dell’apostolo Giacomo. Il mio amico di vecchia data (e giornalista) Marcello Parilli nel mese di maggio del 2006 ha compiuto l’impresa, ha percorso oltre 800 chilometri a piedi, da Saint-Jean-Pied-de-Port nei Pirenei francesi per giungere dopo 29 giorni a Santiago. Ho ascoltato molti racconti di questa sua straordinaria esperienza, ma mi era rimasta qualche curiosità a proposito dei pasti del pellegrino. Ecco cosa mi ha raccontato nel corso della nostra piacevole chiacchierata. Continua a leggere

D’Avenia: “Il cibo deve essere arte e grazia”

«Quest’anno il pranzo di Natale sarà in tono minore, ma rimane fermo che almeno in questa occasione il cibo debba essere arte e grazia, perché noi umani non stiamo a tavola solo per nutrirci ma per le relazioni che stringiamo a tavola.» Standing ovation per Alessandro D’Avenia, lo scrittore e insegnante che sulle colonne del Corriere della Sera sottolinea l’importanza del pranzo della festa e lo fa ricordando il messaggio di un film, Il Pranzo di Babette, che come sapete (ne ho già parlato nel mio blog, leggete qui) è uno dei miei film preferiti ed è stato anche citato più volte da Papa Francesco (leggete qui). Continua a leggere