Un film ambientato in un ristorante: ancora! direte voi. La trama presenta effettivamente qualche cliché, ma ci sono alcuni elementi di novità e un finale davvero ad effetto. Il protagonista, Carmine, è interpretato da Salvatore Esposito, volto già noto al pubblico per il ruolo di Genny Savastano nella serie TV Gomorra. Ancora una volta veste i panni di un camorrista: un giovane cresciuto sotto l’ala protettiva di un boss al quale suo padre ha salvato la vita. L’appartenenza al clan sembra il suo destino ma lui è buono nell’animo e manifesta un evidente disagio quando è chiamato a compiere atti criminali.
Allora il boss, memore della riconoscenza che nutre verso il padre, decide di dargli un’ultima possibilità di servire il clan e lo manda a Roma dove gli affida la gestione di un ristorante che propina ai clienti cibo surgelato in una location squallida, dal momento che l’unico scopo dell’esercizio commerciale è quello di riciclare il denaro della camorra. Irrompe però sulla scena Consuelo, brava e spigolosa chef di origini argentine, che lo convince a rinnovare il locale, arredarlo con gusto e fare una cucina di alto livello. Carmine si fida di lei e le dà carta bianca. Le spese per avviare il locale di lusso sono tante: riuscirà Carmine ad aiutare Consuelo a realizzare il suo sogno e allo stesso tempo smarcarsi dal clan camorristico? Quella è gente che non scherza. Non vi dico altro per non fare spoiler, godetevi il finale e i suoi colpi di scena.
Quali sono i punti di forza del film? Mi è piaciuta l’importanza che viene data alla valorizzazione delle proprie radici, della propria storia: i due protagonisti tirano fuori il meglio di sé ai fornelli andando a pescare nei ricordi di famiglia, nelle ricette della tradizione. Ci sono momenti che richiamano “Il pranzo di Babette”: la capacità della tavola di suscitare emozioni, voglia di pace e bellezza, relazioni vere e profonde. La pastiera e la pasta e patate, fatte con la ricetta della nonna, commuovono come la madeleine di Proust. Consuelo trova il guizzo ai fornelli quando si affida ai sapori della tradizione argentina, la terra di suo padre. Altro spunto interessante è quello della libertà: siamo artefici del nostro destino, nulla è già scritto, possiamo sempre prendere in mano la nostra vita e provare a imprimerle la direzione che vogliamo, senza arrenderci davanti a quella che sembra essere una sorte segnata.
Lo sceneggiatore è Stefano Sardo, figlio di Piero Sardo, uno dei fondatori di Slow Food. Evidentemente è cresciuto in mezzo al cibo e si suoi valori culturali e antropologici. La chef Cristina Bowerman è la consulente per la parte culinaria e fa una comparsa insieme ad alcuni chef stellati in una scena simpatica, nella quale Consuelo fa una battuta che condivido totalmente: «Non c’è forma d’arte più pura della cucina».
A proposito di film ambientati nel mondo della cucina, hai visto “Quanto basta”?
"Mi piace""Mi piace"
No, questo mi manca! Grazie del suggerimento, lo guardo e … ne parliamo! Buona giornata!
"Mi piace""Mi piace"
Attendo tue notizie allora! Grazie a te per la risposta! 🙂
"Mi piace""Mi piace"