Pare che in Olanda qualche sacerdote abbia celebrato la Messa con la birra al posto del vino. C’è poi chi ha aggiunto una spolverata di miele o un po’ di zucchero all’ostia da consacrare, per renderla più dolce e quindi più gradevole al palato dei bambini. Come se si andasse a Messa per fare merenda! Insomma, alcune voci di corridoio nelle diocesi hanno spinto Papa Francesco a dare l’incarico al prefetto della Congregazione per il Culto Divino, il cardinal Robert Sarah, di mettere un po’ d’ordine nella materia. La preoccupazione è duplice: da un lato evitare queste leggerezze, o meglio questi abusi liturgici; dall’altro garantire la genuinità del prodotto utilizzato per la consacrazione. Un tempo si andava sul sicuro, ci pensavano le suore a preparare le ostie ed erano sempre i monasteri a fornire il vino da Messa. Adesso c’è la crisi delle vocazioni e le parrocchie fanno spesso acquisti presso aziende esterne, che magari fanno offerte speciali, ma con prodotti di cui non sono garantiti gli ingredienti. Magari il sacrestano segnala al parroco che c’è la possibilità di comprare su internet, risparmiando, ma ci si può fidare?
Allora il Cardinale Sarah ha scritto una lettera ai vescovi, che porta la data del 15 giugno 2017, solennità del Ss.mo Corpo e Sangue di Cristo, invitandoli a «ricordare ai sacerdoti, in particolare ai parroci e ai rettori delle chiese, la loro responsabilità nel verificare chi provvede il pane e il vino per la celebrazione e l’idoneità nella materia».
Il documento (cliccando qui lo potete leggere) ricorda le disposizioni già stabilite per la confezione del pane eucaristico, che deve essere esclusivamente di frumento, confezionato di recente e azzimo. Sappiamo che sono in crescita i casi di celiachia, ma non sono ammesse le ostie «completamente» prive di glutine. Sono ammesse quelle realizzate con OGM. «Le ostie devono essere confezionate da persone che non soltanto si distinguano per onestà, ma siano anche esperte nel prepararle e fornite di strumenti adeguati».
La lettera ai vescovi è chiara e intransigente anche per quanto riguarda il vino: «Non si ammetta, poi, nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida. Il vino deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee».
Spiega don Claudio Magnoli, nominato dal Papa consultore della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, che «dopo il Concilio di Trento si era aperta una riflessione sull’opportunità di continuare a utilizzare il pane e il vino nella celebrazione dell’Eucaristia» alla luce del fatto che in certe aree geografiche, dove si stava espandendo il Cristianesimo, mancava la materia prima. Il pane di frumento e il vino sono tipici infatti della cultura della tavola del Mediterraneo e in generale dell’Occidente europeo, e non sempre era facile trovarli presso altre culture. Ma la Chiesa ha stabilito che non si può cambiare: la regola è chiara, Gesù ha consacrato pane e vino e quel rito deve essere perpetuato sugli altari delle chiese di tutto il mondo.
Non è un caso se, a mano a mano che il cristianesimo si diffondeva nei cinque continenti, la prima cosa che facevano i religiosi era seminare il grano e piantare una vigna. (Leggete qui cosa vi ho già raccontato a questo proposito).
Massimo Montanari, uno dei massimi esperti di storia dell’alimentazione, a ragion veduta definisce il cristianesimo “La religione del pane e del vino”.
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