Cari amici del blog, nel giorno in cui la Chiesa ricorda San Giuseppe, vi voglio presentare una bella immagine e il commento di Suor Gloria Riva, che già avete avuto modo di conoscere nel mio blog (avevo presentato un suo testo sull’iconografia del Torchio Mistico; se lo volete rileggere, cliccate qui). Il quadro che vedete è della Scuola di Guido Reni: “Sacra Famiglia a tavola” (olio su tela, VII sec. Quadreria Arcivescovile, Milano). Era stato scelto come immagine simbolo dell’ Incontro Mondiale delle Famiglie del 2012 a Milano, e avevo molto apprezzato quella scelta. Si vede san Giuseppe che porge il calice di vino a Gesù. Ecco cosa ci racconta suor Gloria Riva.
Se oggi manca il desiderio del calice di salvezza
Il Calice dell’Ultima Cena, il leggendario Graal, non raccolse solo il vino dell’Alleanza Nuova, ma anche il Sangue del Redentore versato sulla croce. L’arte non mancò di mettere a fuoco quest’oggetto simbolico consegnandolo nelle mani di Gesù fin dalla più tenera età.
Una bella tela della Scuola di Guido Reni ritrae la Sacra Famiglia a tavola. La scena è tenerissima e del tutto domestica: Gesù siede fra Giuseppe e Maria a una tavola rotonda, rimando alla dimensione eterna di quella mensa. Gesù e la Madonna vestono il medesimo colore rosso perché, come scrisse Tertulliano, Caro Christi, caro Mariae. Essi condividono la medesima carne e, sia pure in forma molto diversa, il medesimo sacrificio. La Madonna non è protagonista dello svolgimento di quella scena, anzi osserva compiaciuta ciò che accade.
È Giuseppe a prendere l’iniziativa. Dalla bottiglia collocata in primo piano, il padre putativo ha attinto il vino versandolo nella coppa che porge al Figlio. Il divino Infante, avvolto in un largo tovagliolo per non sporcarsi, segno evidente della sua umanità, ha un attimo d’incertezza. Lo sguardo, bellissimo, esprime da un lato la naturale diffidenza dei bambini verso il vino, dall’altra lascia indovinare il rimando simbolico di quella bevanda. Un giorno Cristo, nell’orto, pregherà che passi da lui quel calice; la stessa domanda balena anche ora, nell’inconscio di quel Dio Bambino. Il calice in tutta la Sacra Scrittura è legato al destino, spesso inteso come destino avverso. Il vino invece è associato soprattutto alla gioia e alla festa. Sorte e felicità trovano un prezioso sodalizio nel sangue di Cristo, il quale, mentre è versato sulla croce (compiendo un destino avverso), diventa per tutti calice di salvezza e dunque pegno di un destino felice.
In tempi calamitosi come i nostri, il simbolo del Graal fa pensare alla leggenda del Re pescatore. A un re malato e depresso, con il regno semi distrutto per la povertà, si presenta Parsifal che, a differenza di altri che erano transitati dando dotti consigli, senza alcun preambolo chiese: dov’è il Graal? La domanda fu per il re il risorgere di un desiderio. Si alzò dal suo giaciglio e con la sua ripresa anche il regno si risollevò. Forse anche noi abbiamo bisogno di qualcuno che, come Giuseppe a Gesù, come Parsifal al re, ci rimandi all’urgenza di riappropriarci del nostro destino; al dovere di accettare le sfide della vita e riaccendere così quel desiderio che può condurre noi e altri al conseguimento di un calice di salvezza.
[Suor Maria Gloria Riva (Monza 1959) entra tra le Adoratrici Perpetue del SS. Sacramento nel 1984 dove, accanto alla sua passione per l’arte, coltiva lo studio della Sacra Scrittura e della Patristica. Ha pubblicato molti libri, dedicati al rapporto tra la Bibbia, la spiritualità e l’arte. Dal febbraio del 2007 si è trasferita nella Diocesi di San Marino-Montefeltro dove ha fondato una comunità Monastica che, accanto all’Adorazione Perpetua, si propone di educare lo sguardo alla Bellezza.]
[Articolo pubblicato su Avvenire il 9 luglio 2015]
Bellissimo quadro e bellissimo articolo!
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