Salotto gourmet: amicizia, convivialità, cultura

Dicono che gli italiani a tavola parlano di cibo. È assolutamente vero. Partendo da questo principio, mi è venuta la pazza idea di mettere insieme tre ingredienti: la gioia di trascorrere una serata con gli amici, la voglia di cucinare qualcosa di goloso e il desiderio di condividere la mia passione per la storia e la cultura della tavola. È iniziata così un’avventura che si è articolata in quattro serate nell’arco di un anno e che ha coinvolto circa 25 persone per ogni serata (la mia casa ha dei limiti invalicabili di capienza…). Ecco un sintetico resoconto.

Lancio l’invito con un format ben preciso: cena a buffet, poi conversazione a tema e si conclude con una fetta di dolce. L’invito riscuote successo: il salotto si riempie di amici che si frequentano spesso oppure che con gioia e un po’ di sorpresa si ritrovano dopo tanto tempo. Si stringono anche nuove amicizie, si parla di un po’ di tutto tra stuzzichini gourmet e un piatto di pasta e fagioli. L’allegria non manca e nemmeno l’appetito, considerando che i vassoi sul tavolo si svuotano velocemente e le bottiglie vengono stappate gioiosamente. La seconda parte della serata è dedicata alla conversazione sul tema: ci si accomoda, sazi e soddisfatti, sul divano e sulle sedie.

Il primo incontro è dedicato alla tavola del Natale: siamo in tempo di Avvento e sono tanti gli spunti, dal pranzo di Natale dell’Artusi alle leccornie che Dickens descrive nel suo Canto di Natale, dalla storia del Panettone (anche quello di San Biagio) all’amore per il Natale di San Francesco d’Assisi, dalle lenticchie di Esaù al valore del brindisi fatto con spirito di amicizia e senso della comunità. Si conclude con una fetta di panettone.

Il format è evidentemente piaciuto e il numero dei partecipanti cresce. Nella seconda serata parliamo della cultura gastronomica dei monasteri, con un focus sulla storia della birra trappista. Sulla credenza fanno bella mostra di sé alcune bottiglie di birra dei monaci, che bevuta con quella consapevolezza ha tutto un altro gusto. C’è la Westmalle Extra, bionda, fruttata e leggera, prodotta dai monaci Cistercensi della Stretta Osservanza che nel 1794, in fuga dalla Rivoluzione Francese, trovano rifugio ed accoglienza a Westmalle, in Belgio, dove fondano l’Abbazia di Nostra Signora del Sacro Cuore. Riscuote molto interesse la Chimay Cinq Cent, robusta e intensa con i suoi 8°, prodotta nel 1986 dalla comunità monastica dell’abbazia trappista di Scourmont (Belgio), per celebrare il cinquecentenario del Principato di Chimay, in onore dei Principi che nel 1850 hanno accolto i monaci donando loro il terreno per il monastero. Prende la parola Antonio che ci racconta la sua esperienza di viaggio in Belgio, dando testimonianza dell’umiltà di quelle comunità monastiche che si dedicano alla produzione della birra unicamente per il loro sostentamento, senza alcun intento di profitto. Paolo il giorno seguente pubblica sui social network una arguta sintesi di quanto ho raccontato. Siamo in gennaio, tutti vogliono sapere quando si terrà la serata successiva ma faccio presente che si avvicina la Quaresima, dovremo fare una lunga sosta per dedicarci ad astinenze e digiuni (anche questa è cultura cristiana della tavola), ma ci rivedremo in tempo di Pasqua.

Ogni promessa è debito e lancio l’invito per il terzo appuntamento, che sarà dedicato alla storia e alla cultura del vino, questa volta con un ospite. Francesco ci racconta la sua nuova avventura: produttore di olio, ha deciso di dedicarsi anche alla viticoltura, piantando un vitigno calabrese che sembrava dimenticato, il Negrellone. Dalla sua testimonianza partiamo per un viaggio nella storia del vino, sottolineando il simbolismo e il fascino di una bevanda che contraddistingue la nostra cultura mediterranea, europea e cristiana. Anche questa volta Paolo sui social network condivide le sue sempre interessanti e profonde riflessioni.

La serata successiva si tiene in tempo di vendemmia: piatto forte della cena conviviale è una bella pappa al pomodoro che troneggia in mezzo alla tavola, circondata da salami, pinsa, torte salate, involtini di bresaola, mortadella accompagnata da nocciole piemontesi. Il vino questa volta viene da lontano: stappiamo un Malbec dell’Argentina, uno Chardonnay della California e Gabriel, appena sbarcato a Milano da Boston, ci porta due superbi rossi sempre della California, Match Book Petit Verdot e Zinfandel.

Eh sì, perché la serata è dedicata al vino nel mondo: viaggiamo con la fantasia sui grandi velieri che vanno alla scoperta di nuovi continenti, portando con sé botti e vitigni, per dare il via alla produzione di vino anche in terre lontane.  Grazie alla competenza di Gabriele affrontiamo anche la storia, anzi la tragedia, della fillossera e la sua soluzione proprio grazie a questo viaggio di andata e ritorno delle vigne, su e giù per gli oceani. Come sintetizza Paolo sui social network nel suo ormai consueto post, la generosità ti salva. E la Cina? Anche questa nazione si sta affacciando al mondo della produzione enologica, ma con quale qualità? Non rimane che assaggiare un vino cinese: il bicchiere della staffa è un Cabernet Sauvignon dell’azienda Château Changyu Moser.

E’ stata una sfida ma direi che il format ha incontrato il favore della nostra bella compagnia. La tavola è cultura, dietro ogni piatto c’è una storia, un simbolo, una tradizione. Ricordarlo in una bella serata tra amici è ancora più piacevole.

 

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