Salse sì, salse no: un po’ di storia, tra semplicità e complessità

La cucina si divide in due grandi scuole: per alcuni deve trionfare la semplicità, ogni ingrediente dovrebbe essere riconoscibile e il suo sapore naturale dovrebbe essere ben percepito dal palato, e c’è al contrario chi esalta la cucina più creativa, dove i prodotti si mescolano tra loro ed è difficile capire quali siano gli ingredienti nel piatto.

E poi ci sono le salse di accompagnamento alle pietanze: sono sempre state utilizzate per dare un tocco di classe alle preparazioni culinarie, per insaporirle e valorizzarle, ma la storia dell’alimentazione ci racconta che nell’antichità e nel Medioevo erano prevalentemente salse leggere, a base di aceto, vino, succo di agrumi, erbe aromatiche o latte di mandorle.

Un discorso a parte merita il garum, una leccornia per gli antichi Romani. Era una salsa preparata con interiora di pesce e pesci salati, che venivano fatti macerare sotto sale e poi filtrati: con il liquido che ne derivava si condivano molti piatti. Viene considerato l’antenato della colatura di alici di Cetara.

All’epoca dell’Ancien Régime i gusti cambiano e la gastronomia, soprattutto quella francese, diviene sempre più elaborata, grassa e succulenta. Si va alla ricerca di salse gustose e gourmet ma decisamente più impegnative, a base di burro, latte, panna, come ad esempio la besciamella, chedeve il suo nome a Louis de Béchamel, parente di Colbert, il potente ministro di Luigi XIV. Non credo proprio che l’abbia inventata lui, con tutta probabilità l’avrà ideata il suo cuoco, ma si mangia a casa del nobiluomo e la storia la tramanda col suo nome.

Bisogna anche ricordare che a quei tempi le salse pesanti e dal sapore deciso che coprono abbondantemente una pietanza hanno, non raramente, lo scopo di camuffare la scarsa freschezza del prodotto. Pensiamo al pesce, che purtroppo si deteriora molto velocemente: Parigi è lontana dal mare e il pescato arriva a Versailles su carri che hanno fatto un lungo viaggio, con tutte le incertezze delle strade di quel tempo. Noi italiani siamo più fortunati: la conformazione della nostra penisola permette da sempre di far trascorrere poco tempo da quando il pesce viene pescato a quando finisce nel piatto. Bartolomeo Scappi, grande cuoco del Cinquecento che ha pubblicato un libro che a lungo è stato un punto di riferimento gastronomico, consiglia le ricette che ha imparato dai pescatori di Venezia e Chioggia, semplici e genuine: pesce alla brace, in padella o fritto nell’olio. Scappi commenta che probabilmente apprezza quei piatti perché il pesce viene cucinato subito dopo averlo pescato. Freschezza garantita. Forse per questo ancora oggi noi italiani serviamo prevalentemente il pesce nella sua meravigliosa semplicità, gustando tutto il suo sapore. In Francia al contrario, anche se oggi ci sono frigoriferi e congelatori, mantengono spesso l’abitudine culinaria di accompagnare i filetti di pesce con salse elaborate.

Vogliamo parlare delle usanze d’oltreoceano che ci hanno insegnato a coprire la carne della grigliata con salse dell’industria alimentare americana? Per non parlare degli hamburger dei fast food dai quali cola abbondantemente la salsa che, a mio modesto parere, rende ogni cibo con lo stesso sapore: il sapore di quella salsa. Con un dubbio: l’obiettivo non sarà ancora una volta quello di camuffare la scarsa qualità degli altri ingredienti? Oppure di stimolare la sete, così da indurre i clienti del locale a consumare abbondantemente la bibita zuccherata che si beve dal bicchiere di cartone?

C’è salsa e salsa, rito e rito: ancora una volta non si può fare d’ogni erba un fascio. Ognuno ha la sua storia gastronomica, le sue tradizioni ed abitudini. Ad esempio, io adoro le salse quando accompagnano la fondue bourguignonne (leggete qui): quanto stile in quel rito gastronomico!

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