Pane, vino, olio: ecco la triade della cucina mediterranea. Parlare del pane e del vino significa entrare nella storia, nelle tradizioni e nelle suggestioni della nostra cultura più antica e lo stesso vale per l’olio: beninteso, olio extravergine di oliva, l’eccellenza da un punto di vista della salute, della nutrizione, della leggerezza e del gusto sulle nostre tavole, che è alla base della dieta mediterranea, indicata da tutti gli esperti come il non plus ultra in tema di salute e bontà.
L’ulivo è una pianta straordinariamente longeva, come dimostrano gli esemplari dell’Orto del Getsemani di Gerusalemme o l’ulivo di Sant’Emiliano in Umbria, che ha più di 1.700 anni e continua a prosperare, accanto all’Abbazia benedettina di Bovara, sul sentiero degli ulivi tra Assisi e Spoleto. La storia racconta che il vescovo Miliano, dopo aver subito varie torture, viene legato ad un giovane olivo e decapitato nell’anno 304. La pianta diviene immediatamente oggetto di culto e viene curata amorevolmente, come una reliquia, e tutt’oggi è in piena attività e produce olive, nonostante la sua vecchiaia.

Esistono molte varietà di olive e sono tutte estremamente versatili, adatte a mille preparazioni, squisite da mangiare, ottime per accompagnare gli aperitivi, per essere trasformate in paté e salse, per arricchire i sughi, accompagnare il pollo alla cacciatora, il pesce al forno e molte altre pietanze. Ad Ascoli Piceno vengono preparate ripiene e fritte, ma l’elenco del loro utilizzo in cucina sarebbe troppo lungo. Resta il fatto che la coltivazione dell’ulivo viene praticata prevalentemente per ottenere l’olio, di cui in Italia praticamente tutte le Regioni sono produttrici, soprattutto al Centro e al Sud, senza trascurare le produzioni di ottima qualità della Liguria e quello del Lago di Garda, dove ci sono microclimi particolarmente benevoli. La prima Regione di produzione è la Puglia, la seconda la Calabria. Abbiamo molte Dop e Igp e siamo i secondi produttori al mondo, dopo la Spagna.
L’olio nella Grecia Antica
Secondo la mitologia, l’ulivo è un dono di Atena: sul frontone del Partenone è raffigurata la dea che colpisce la roccia e fa nascere la pianta. Sull’Acropoli c’era un ulivo sacro, secondo la tradizione proprio quello donato dalla dea Atena, e ancora oggi c’è un ulivo a perenne ricordo di quel mito. La cultura italiana attinge spesso ai simbolismi della Grecia classica come ci attesta il fatto che sulle monete da 100 Lire vi era impressa proprio l’immagine della dea Atena con accanto il suo ulivo.

La civiltà greca considera l’olio d’oliva simbolo di floridezza, e lo pone al centro della vita della casa, della famiglia, della comunità. Mentre il vino è più collegato alla convivialità e alla gioia, l’olio è percepito come prezioso per la sicurezza e la salute nella vita quotidiana, prodotto indispensabile e non solo per uso alimentare: l’olio brucia nelle lanterne, garantendo l’illuminazione; è utilizzato in farmacopea come rimedio contro scottature, ferite, gonfiori e per la cosmesi. I lottatori se lo spalmano abbondantemente sulla pelle, per proteggersi dai colpi e dalla presa dell’avversario. Sono molte le suggestioni legate all’ulivo: ricordiamo ad esempio che le fronde di ulivo incoronano i vincitori dei giochi olimpici e che i padroni di casa accolgono l’ospite con olio aromatizzato, come segno di ospitalità. La cosiddetta “Anfora di Vulci”, riprodotta in immagine, è un vaso greco del VI secolo a.C. raffigurante la raccolta delle olive: ancora oggi si raccolgono praticamente nello stesso modo!

Dalla Grecia, la coltivazione dell’olivo e la produzione del prezioso nettare si diffondono assai presto in Italia, Spagna e Nord Africa. Anche per i Romani l’olio è un alimento indispensabile e Plinio il Vecchio, nel suo libro Naturalis historia, redatto nel 77 d. C., descrive con minuzia e competenza le varie caratteristiche delle olive e dell’olio e con un pizzico di orgoglio patriottico afferma che l’olio italiano è il migliore di tutto il Mediterraneo.

La Bibbia: il Cristo, l’Unto del Signore
Nella Sacra Scrittura troviamo molti riferimenti alla sacralità dell’ulivo e dell’olio. Al termine della terribile prova rappresentata dal diluvio, una colomba porta a Noè sull’arca un ramoscello di ulivo come segno della pace, del placarsi della collera divina. Con l’olio si ungono i sacerdoti d’Israele. Mosè riceve da Dio questo comando riguardo ad Aronne: «E devi prendere l’olio d’unzione e versarglielo sulla testa e ungerlo», dando così il via alla tradizione del rito di consacrazione di re e sacerdoti. Con l’avvento del Cristianesimo l’olio assume ulteriori significati sacri: Cristo, cioè Unto del Signore, è la definizione del Messia. L’olio crismale è quello che ogni vescovo benedice e consacra il Giovedì Santo nella Messa del Crisma, e che poi consegna ad ogni parroco che lo utilizzerà per i Sacramenti: Battesimo, Cresima, unzione degli infermi. Il conferimento dell’Ordine sacro con il quale si diventa sacerdoti avviene attraverso l’unzione delle mani del nuovo presbitero. Quando viene consacrato un altare, viene unto con l’olio crismale. La Domenica delle Palme è l’ulivo benedetto che porta gioia e benedizione nelle case dei fedeli.
Possiamo allora comprendere con maggiore consapevolezza il Salmo 103, che loda il Signore per i suoi doni, facendo in particolare riferimento proprio alla triade della cucina mediterranea, pane, olio e vino:
“Signore mio Dio quanto sei grande!
Fai crescere il fieno per gli armenti,
il vino che allieta il cuore dell’uomo,
l’olio che fa brillare il suo volto
e il pane che sostiene il suo vigore”.

Il rito dell’unzione dei Re di Israele si è perpetuato nelle cerimonie di incoronazione dei Re cristiani: i Re di Francia venivano consacrati con l’olio della Sacra Ampolla, conservata nella cattedrale di Reims. Si narra che nel momento del battesimo di Clodoveo, primo Re di Francia convertito al cristianesimo (siamo nel 550 d. C.), una colomba apparve in cielo recando nel becco un’ampolla con l’olio sacro con il quale il vescovo Remigio battezza il re. Da allora, nello stesso modo verranno consacrati tutti i Re di Francia, fino a quando la Sacra Ampolla verrà distrutta durante la Rivoluzione Francese, per segnare simbolicamente la rottura con la tradizione e la concezione sacrale della monarchia. Roba d’altri tempi? Non proprio, se pensiamo che è arrivato da Gerusalemme, dall’Orto degli Ulivi, l’olio che è stato utilizzato per ungere Re Carlo III d’Inghilterra nel giorno solenne della sua incoronazione, il 6 maggio 2023.

Le alterne vicende dell’olio, tra crisi e rilancio
La coltivazione degli ulivi e la produzione di olio subiscono però un duro colpo a causa del crollo dell’Impero Romano e delle concomitanti invasioni barbariche nell’alto medioevo. L’Europa è teatro in quel tempo dello scontro tra due modelli alimentari: quello mediterraneo, basato su olio, vino, ortaggi, legumi, formaggi, poca carne e molto pesce, con molta attenzione e cura delle attività agricole; e quello delle popolazioni del Centro e del Nord Europa che consumano prevalentemente burro, birra, molta carne, dedicandosi alla caccia, essendo prevalentemente popoli nomadi. La crisi economica, politica e sociale dell’Alto Medioevo minaccia la coltivazione degli ulivi, molto impegnativa e rischiosa in tempi di così grave incertezza. Ancora una volta sarà la forza della cultura dell’antica Roma ma soprattutto l’influsso del Cristianesimo e delle sue esigenze liturgiche ad impedire la scomparsa dell’olio: «I monaci soprattutto benedettini restarono i continuatori delle culture delle erbe e dell’olio, baluardo del gusto greco-romano, ed ebbero un ruolo fondamentale per la conservazione delle pratiche agricole e dei relativi saperi, che avevano seriamente rischiato di disperdersi. Sorretta da un credo religioso al cui interno il pane, il vino e l’olio assumono un’importanza simbolica centrale, l’agricoltura dei monaci si basava su coltivazioni e produzioni che provenivano – e che oggi definiamo ancora – dall’area mediterranea, e al tempo stesso non vedeva di buon occhio – con un sospetto di tipo simbolico prima che dietetico – il consumo di carni». (Il mondo dell’olio. Slow Food Editore, pag. 43). I monaci rinnovano gli impianti, con competenza tecnologica, incoraggiando i contadini a non abbandonare la coltivazione degli ulivi, superando così brillantemente la crisi dell’Alto Medioevo, permettendo alla produzione di olio di ripartire (Una storia analoga a quella del vino, come vi ho raccontato in questo post).

Per secoli l’olio verrà commercializzato in tutta Europa e troverà grande diffusione, ma dovrà affrontare nuovi nemici nel Novecento, con l’affermazione dell’industria alimentare di massa la quale, facendo ricorso non di rado ad un marketing aggressivo e talvolta fuorviante, contribuisce a diffondere tra i consumatori informazioni parziali o addirittura distorte, per spingere l’acquisto di certi prodotti maggiormente remunerativi. Ricordate lo spot dove Nino Castelnuovo saltava lo steccato con grande agilità? Era un modo di trasmettere l’idea, priva di fondamento scientifico, di una presunta maggiore leggerezza dell’olio di semi rispetto all’olio di oliva. La pubblicità inizia a spingere anche burro e margarina con un marketing accattivante. Gli studi scientifici seri ribadiscono la verità delle cose: la dieta mediterranea, ricca di verdure e frutta, legumi, pesce, olio d’oliva e poca carne è garanzia di benessere fisico e di grandi valori culturali e sociali (vedi il mio post).
L’olio è un ingrediente fondamentale nella cucina mediterranea, a crudo, in cottura e anche per friggere, perché è più stabile nella cottura prolungata. Quindi bando ai pregiudizi, viva l’olio extravergine di oliva, viva la cucina mediterranea!
