Meditazione cucinando una ratatouille

Dopo le feste natalizie mi dedico volentieri ad un periodo di dieta disintossicante e le verdure diventano le regine delle tavola. Cucinarle con gusto e creatività è possibile e si possono mettere nel piatto in tante preparazioni diverse e gustose, che danno soddisfazione. Le verdure non sono soltanto sane, sono anche colorate, saporite, un piacere per gli occhi e per il palato. Mentre preparo una ricca ratatouille, uno dei miei contorni preferiti, facile e molto versatile (a proposito: avete visto il film? Troppo carino!) penso agli scambi commerciali e alle scoperte geografiche che hanno permesso la conoscenza di prodotti di paesi lontani che col tempo sono diventati a noi molto familiari ma rifletto anche sulle difficoltà che spesso incontriamo nell’accogliere le novità.

Vediamo ad esempio la storia del pomodoro. Viene dall’America ma inizialmente non ha incontrato il favore degli europei, anzi non veniva neppure ritenuto commestibile, era coltivato solo a scopi ornamentali. A partire dal Settecento, soprattutto in Italia, Francia e Spagna, verrà invece scoperta la sua versatilità in cucina: sulla pasta e la pizza, nelle zuppe e minestre, come contorno a carni e pesci, nelle insalate, nelle salse. Pensate se improvvisamente sparissero i pomodori: come cambierebbe la cucina italiana!

Stessa sorte ha avuto la melanzana, che a lungo è stata vista con diffidenza. Originaria dell’India, si diffonde nel Medio Oriente e arriva in Spagna ed Italia con gli Arabi. E’ un ortaggio che non si può mangiare crudo perché contiene una sostanza tossica che si neutralizza con la cottura e forse proprio questa sua caratteristica l’ha resa poco apprezzata, e il nome con il quale viene chiamata dice tutto: “mala insana”.  “Pianta volgare” la definiscono gli chef dei palazzi aristocratici, che con disprezzo la vedono cucinare dai contadini, che evidentemente non si fanno tutti questi problemi, quando si deve riempire lo stomaco non si va tanto per il sottile, e si scopre che fritte sono anche molto gustose, dimostrando così che sulle tavole quotidiane del popolo non si mangia poi così male. Le melanzane hanno grande successo sulla tavola degli ebrei, che le cucinano volentieri e con creatività: nel 1600 l’agronomo Vincenzo Tanara le definisce infatti “vivande per contadini e per ebrei”. Pellegrino Artusi, che le consiglia vivamente da uomo senza pregiudizi quale era, ne conclude che “In questo, come in altre cose di maggior rilievo, gli ebrei hanno sempre avuto buon naso più dei cristiani”. A poco a poco prenderanno piede sulle nostre tavole: pensiamo alla parmigiana di melenzane, alla pasta alla norma, alla caponata siciliana.

Continuo ad affettare le mie verdure coloratissime per la ratatouille e, dopo le melanzane e i pomodori, è il momento dei peperoni: arrivano in Europa dall’America con i primi conquistadores, sono belli e colorati ma anche in questo caso i primi esperimenti in cucina lasciano un po’ perplessi. Vincenzo Corrado, cuoco napoletano settecentesco autore del libro di cucina “Il cuoco galante” qualifica questo ortaggio come “cibo rustico e volgare“. Ma quanto erano spocchiosi questi chef! Non lamentiamoci di quelli dei tempi nostri, almeno oggi nelle cucine raffinate c’è la volontà di elaborare piatti importanti e gustosi senza disprezzare nessun ingrediente, anzi cercando di valorizzarli con creatività. Io adoro i peperoni in tutti i modi, crudi nell’insalata mista o nel pinzimonio, grigliati, in padella con le patate, ripieni al forno.

Anche la patata ha fatto un po’ di fatica ad imporsi nella nostra gastronomia, come ci racconta lo storico dell’alimentazione Massimo Montanari: “Quando i conquistadores spagnoli scoprirono la patata in Perù e la introdussero in Europa, lo sconosciuto tubero suscitò generale diffidenza. La sua natura di cibo sotterraneo non gli conferiva troppo prestigio. Il suo sapore era inconsistente, o addirittura ingrato. Non pareva cibo da uomini, ma piuttosto da animali. Per un paio di secoli i contadini europei si rifiutarono di coltivarlo, e quando mutarono atteggiamento fu per necessità più che per scelta, di fronte alla constatazione che il rendimento della patata era altissimo rispetto a quello delle colture tradizionali, e poteva risolvere un problema che si poneva allora drammaticamente all’attenzione di tutti: si chiamava fame.”

La storia dell’alimentazione ci insegna che gli aristocratici preferivano stupire i loro ospiti con selvaggina, crostacei, grandi pezzi di carne allo spiedo, coperti dalle salse più ricche ed elaborate. Le verdure oggi sono decisamente rivalutate, alla ricerca della leggerezza a tavola, per rispettare una dieta equilibrata e salutare. E’ una cosa buona, ma l’importante a mio modesto parere è non passare da un estremo all’altro, anche in questo campo un po’ di equilibrio e buon senso non fa mai male. Comunque, si può stupire il nostro ospite anche cucinando verdure in modo molto creativo e stuzzicante.

Mi piace anche la crescente curiosità verso i cibi esotici, i prodotti che provengono da altre culture gastronomiche, senza troppi pregiudizi. Da sempre l’uomo oscilla tra il valore della territorialità e il desiderio di mangiare cibi che vengono da lontano; tra l’abitudine ai piatti della tradizione e la voglia di cose nuove; tra il rispetto della stagionalità e il desiderio di mangiare cibi fuori stagione. Siamo passati dalla fame che si pativa nella prima parte del Novecento al boom economico che ha riempito gli scaffali della nostra dispensa di cibo industriale, dalla fiducia nella globalizzazione alla preoccupazione per la crisi economica, dalla facilità degli scambi commerciali alle guerre che impediscono l’esportazione delle derrate alimentari, dal fast food alla rivalutazione del Made in Italy e dei prodotti a chilometro zero.  Sulla tavola c’è tanta cultura, antropologia e anche geopolitica. Quante cose mi vengono in mente mentre sto affettando verdure per la mia ratatouille…

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