In vino veritas: il valore del tempo e dello spazio

Mi piace andar per cantine, visitare aziende vinicole, godere dei panorami sulle vigne, degustare i vini ascoltando le storie dei produttori, scoprendo la loro umanità, il loro attaccamento alla terra, la passione con la quale affrontano le tante difficoltà di questo mestiere, leggendo nei loro occhi la soddisfazione che si prova nell’offrire il frutto del loro lavoro. Ogni visita è diversa dalle altre, ha la sua particolarità, e anche questo rivela la ricchezza del mondo del vino, la distanza da quell’omologazione che purtroppo è spesso dominante nella globalizzazione industriale. Ci sono cantine che rivelano una storia antica, altre sono realizzate con un design moderno e ricercato, tutte manifestano una voglia di bellezza e armonia.

Uno dei fattori-chiave che determinano il risultato finale del grande lavoro dei produttori vinicoli è il tempo, non inteso in senso atmosferico (benché anche questo aspetto sia determinante), ma come “trascorrere del tempo”. Si tratta decisamente di un fattore di grande importanza. La necessità di provvedere alla migliore conservazione dei cibi e delle bevande nel tempo è una questione antica quanto l’uomo, ma in relazione al vino la questione è diversa: mentre parlando di alimenti in generale si tratta di trovare una soluzione per non far deperire il cibo, per mantenerlo così com’è, il vino al contrario deve cambiare, deve trasformarsi, deve raggiungere il massimo della sua maturazione per finire sulla nostra tavola offrendo il massimo del suo equilibrio. Il fattore tempo, che normalmente è un problema, qui diventa l’alleato prezioso, così come avviene per la lievitazione della farina che diventerà pane e non a caso pane e vino sono uniti da un simbolismo anche religioso.

La fermentazione del mosto deve essere governata, aiutata, sorvegliata, indirizzata. “Frutto della vite e del lavoro dell’uomo”, recita la liturgia cattolica. Il produttore di vino deve accompagnare il vino nel suo viaggio, deve essergli accanto per impedire che faccia brutti incontri lungo il cammino, che sia adeguatamente equipaggiato per raggiungere la sua meta con successo. Non bisogna avere fretta, occorre esercitare la virtù della pazienza, ma questo non significa oziare, al contrario comporta fare buon uso del tempo, con sapienza ed esperienza, senza quella tirannia dello stress tipica della vita moderna. Ancora una volta la cultura del vino ci offre l’opportunità di una bella meditazione.

Oltre al fattore tempo, la qualità del vino dipende anche dall’ambiente dove riposa: la cantina alla giusta temperatura, il grado di umidità e il contenitore dove viene accolto per svilupparsi adeguatamente. Botti grandi o piccole (barriques) di legno nuovo o usato, vasche in acciaio o in cemento, anfore di terracotta, bottiglie inclinate nelle “pupitres” per la doppia fermentazione necessaria allo spumante metodo classico. Le botti di legno consentono una discreta traspirazione con l’esterno, oltre a conferire un sapore e un bouquet particolare al vino che vi riposa. Per molti decenni la moda delle barrique ha spinto i viticoltori a farne un grande uso, complice forse la poesia che trasmette l’idea di un vino che viene dalla botte, ma talvolta esagerando con un sistema che permette di conferire sentori legnosi e “di moda” in grado di nobilitare anche vini di livello medio-basso. I silos in acciaio e le vasche di cemento sono meno suggestive per chi visita le cantine ma hanno un indubbio vantaggio in termini di igiene e di controllo della temperatura. Inoltre, questi contenitori non influenzano il profilo gusto-olfattivo del vino e questo permette di poterlo apprezzare nelle sue naturali caratteristiche. Le anfore di terracotta sono considerate la nuova frontiera: in realtà si tratta del recupero del contenitore più antico del vino, se pensiamo che sono state trovate in Georgia alcune anfore che contenevano vino, risalenti a 6000 anni fa. Con l’avvento della botte (ai tempi dell’Impero Romano) le anfore caddero in disuso perché troppo fragili nel trasporto, ma in anni recenti vignaioli creativi e intraprendenti hanno ricominciato ad utilizzarle: hanno il vantaggio di non cedere note aromatiche al vino, a differenza delle barrique, e di essere permeabili all’ossigeno.

Non sono una specialista, ho necessariamente sintetizzato in modo molto approssimativo quello che ho ascoltato in occasione di degustazioni. Ho imparato che c’è un territorio e c’è un vitigno, ma questi non bastano per fare un buon vino. Ci vuole il tempo giusto e il contenitore giusto. Il viaggio è lungo e la compagnia è importante. Come per ogni progetto della nostra vita. Abbiamo un obiettivo, un ideale? Allora dobbiamo scegliere gli strumenti adatti e collocarci in un ambiente che ci consenta di attraversare il tempo, vincere le insidie, allontanare gli agenti sfavorevoli, accogliere i compagni di viaggio che ci possono aiutare a tirare fuori il massimo delle nostre potenzialità, sfruttare le occasioni che ci si presenteranno, saper aspettare ma poi cogliere l’attimo.

Ancora una volta: “In vino veritas.”

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