Super food? Sono molto perplessa …

Si fa un gran parlare di super-alimenti che sarebbero un vero toccasana. Tutti pazzi per le bacche di goji, di Acai, di olivello spinoso, per il the Matcha, i semi di chia, il mirtillo dell’Alaska, che contengono vitamine, flavonoidi, antiossidanti, probiotici, carotenoidi … e via dicendo. Vengono chiamati Super food, termine coniato dal marketing per pubblicizzare questi alimenti e invogliare all’acquisto (nonostante i costi piuttosto alti). Sono davvero così indispensabili e salutari oppure il messaggio è fuorviante? E’ una moda passeggera, pilotata da un accurato battage pubblicitario delle industrie alimentari, o è davvero la chiave per la nostra salute e per l’alimentazione del futuro? C’è poi la moda dei cibi in polvere, delle barrette o dei beveroni dietetici che sostituiscono un intero pasto.

Cinquant’anni fa molti sono inorriditi di fronte ai primi fast food, considerati la morte della tavola, ma quel piano inclinato ci ha portati a gran velocità fino a questi pasti sostitutivi. Quasi quasi rivaluto l’hamburger con le patatine serviti sul vassoio di plastica (beh, non esageriamo, il mio è un paradosso!). Le aziende alimentari presentano questi prodotti come pasti completi, vegani, biologici, ad alto contenuto proteico, compensando con questo appeal dietetico il loro aspetto davvero ripugnante. L’industria sta investendo molto su questo fronte, studiando in laboratorio anche la produzione di capsule e pastiglie che contengono tutto il necessario. Sarebbe il cibo dell’astronauta, ma noi non siamo in orbita. Peraltro, il nostro Paolo Nespoli ha preparato una pizza per tutto il team della Stazione spaziale internazionale, perché la nostalgia del cibo di casa era davvero tanta, dimostrando che mangiare il cibo in pillole a lungo andare è insostenibile.

Eppure questi prodotti sono molto apprezzati da chi ascolta le sirene del salutismo e soprattutto vuole dedicare poco tempo al pasto, mangiando quando gli fa comodo, senza formalità, e già questo è molto triste. Stiamo a poco a poco perdendo la manualità della trasformazione del cibo ma soprattutto stiamo perdendo la socialità della tavola, e su questo rischio ho scritto fiumi di parole (ad esempio leggete qui).

Mangiare non è solo nutrirsi, ci vuole anche il piacere del cibo. Si parla sempre di più di salute nel piatto, più che giusto, ma si trascura l’aspetto psicologico e sociale della tavola. Mi auguro che questo tipo di alimentazione non prenda piede più di tanto, e in tal senso ci sono dei segnali positivi. Un giornalista americano ha deciso di provare a nutrirsi solo di pasti in polvere: dopo due settimane ha smesso, perché la salute fisica era buona ma si sentiva depresso. Anche un imprenditore aveva fatto questa scelta, perché aveva fatto il calcolo che dedicando solo tre minuti a pasto avrebbe potuto investire il tempo risparmiato in altre attività, che evidentemente per lui erano molto più importanti. Ha rinunciato dopo 48 ore per noia. In fondo è consolante. La socialità a tavola e il piacere dei manicaretti sono una costante della storia dell’umanità, da millenni. Saremo noi la generazione che abbandona questa buona abitudine? Resistiamo strenuamente. Ora vi saluto, vado a cucinare polenta e spezzatino, il mio super food!

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