Lotta all’obesità in Gran Bretagna: ma con quali strumenti?

 

La nazione che ha come simbolo della sua gastronomia il “fish and chips” decide di dichiarare guerra all’obesità. A proposito di quella cucina, mi viene in mente il noto aforisma secondo il quale all’inferno il cuoco è inglese (“Il paradiso è un poliziotto inglese, un cuoco francese, un tecnico tedesco, un amante italiano: il tutto organizzato dagli svizzeri. L’inferno è un cuoco inglese, un tecnico francese, un poliziotto tedesco, un amante svizzero, e l’organizzazione affidata agli italiani.”). Ma adesso basta con le battute, il problema è molto serio e non ho nessuna intenzione di sottovalutarlo, anzi. Il Regno Unito ha deciso di occuparsi della questione, perché un terzo della sua popolazione è obesa e un altro terzo è sovrappeso, con conseguenze preoccupanti da un punto di vista della salute, che tra l’altro gravano pesantemente sul servizio sanitario nazionale che non riesce a farsene carico in modo adeguato. Se l’obiettivo è sicuramente condivisibile, ho però qualche perplessità sulle modalità scelte dal governo.

L’idea infatti è quella di imporre ai supermercati di ridurre le calorie nel carrello della spesa, eliminando almeno 100 calorie in media, ad esempio diminuendo le vendite di snack dolci e salati e aumentando quelle di cibi sani. Le catene della grande distribuzione dovranno presentare un rendiconto dei cibi venduti e chi non riesce ad arrivare agli obiettivi prefissati potrebbe incorrere in multe. Ma è arrivata puntuale la protesta dei supermercati: far ricadere su di loro l’onere di orientare gli acquisti non è giusto ma soprattutto è difficilmente realizzabile. Quali strumenti potrebbero mettere in campo i negozi della grande distribuzione per “convincere” il consumatore ad orientarsi verso alimenti più salubri? Potrebbero ad esempio praticare sconti per i cibi sani e inasprire i prezzi di quelli ipercalorici? Come se la determinazione del prezzo fosse sempre e solo una libera scelta del negozio e non una conseguenza delle logiche di mercato, dei costi di acquisto e di quelli generali di gestione dell’attività economica, del gioco domanda/offerta, ecc. Oppure potrebbero nascondere in fondo agli scaffali le merendine e mettere in bella vista le scatole degli alimenti integrali? E se nonostante tutto questo il consumatore goloso andasse alla caccia dei prodotti che sono una bomba di calorie, perché a pagarne le spese dovrebbe essere la grande distribuzione?

Il provvedimento è anche criticabile perché non prende in considerazione i negozi take-away, che distribuiscono sandwich e hamburger, i venditori di hot-dog o le pasticcerie, creando una disparità di trattamento ingiusta. E vogliamo parlare dei pub dove gli inglesi trascorrono le serate consumando pinte di birra? I conservatori britannici, particolarmente attaccati al principio di libertà del cittadino, attaccano i laburisti al governo per la loro visione di Stato-padrone che adesso ci dice anche cosa dobbiamo e cosa non dobbiamo mangiare. L’obiettivo di una dieta sana ed equilibrata è importate ed è giusto parlarne, cercando di trovare una soluzione ottimale, ma lo strumento scelto dal governo della Gran Bretagna non mi sembra il migliore. L’approccio dovrebbe essere, a mio parere, soprattutto culturale. Bisognerebbe diffondere una buona cultura dell’alimentazione, con campagne di sensibilizzazione, a partire dalle famiglie e dalle scuole. C’è chi si rattrista all’idea della dieta, perché la identifica con la rinuncia alle cose buone: ma l’ottima gastronomia e la tutela della salute possono andare a braccetto, la bontà che soddisfa il palato e la qualità dell’alimentazione possono (e devono) stare insieme.

Certo, noi italiani siamo fortunati, la dieta mediterranea non è solo buona ma anche sana. I popoli del Nord Europa fanno più fatica a cambiare le loro abitudini alimentari. Bisogna tenere però in considerazione che anche dalle nostre parti l’obesità inizia ad essere un problema perché la società è profondamente cambiata. Ne è un esempio la crisi della famiglia, che si manifesta anche con la diffusione di cattive abitudini a tavola: i pasti sono sempre più irregolari, non ci sono più orari comuni, rituali. Tante famiglie oggi non danno nessun valore al momento del pasto condiviso, molti giovani entrano in casa, scaldano una pietanza al microonde e vanno a consumarla in camera, davanti al pc. Cresce la domanda di consegne a domicilio di cibi pronti. Non ci sono più regole e si mangia cibo-spazzatura in ogni momento della giornata, senza alcun autocontrollo. D’altronde, i genitori sono spesso assenti e non si curano di questo aspetto dell’educazione dei figli. Le statistiche dicono che in Italia un bambino su tre è sovrappeso, ma quando le nonne preparavano merende sane ai loro nipotini che poi correvano in cortile a giocare con gli amici, di bambini in sovrappeso se ne vedevano pochi. Oggi mangiano merendine industriali e poi si dedicano ai videogiochi, con il rischio di mettere a repentaglio la propria salute oltre a provocare un progressivo imbarbarimento della vita quotidiana.

Viviamo nella società del benessere, grazie ai progressi della medicina, della scienza, della tecnologia, ma la vita troppo sedentaria incide negativamente sulla salute. La produzione alimentare industriale ha certamente permesso alla società occidentale di superare i tristi periodi della carenza alimentare e della fame ma, ai nostri giorni, orienta verso una cattiva nutrizione, riversando sugli scaffali prodotti iper-calorici, iper-processati, che contengono additivi, zuccheri, grassi, sale, aromi artificiali, coloranti e conservanti, che potrebbero avere effetti negativi sulla salute se consumati regolarmente e in grande quantità. Pensare di arginare il fenomeno dell’obesità mettendo in difficoltà la grande distribuzione mi pare un’idea destinata al fallimento. Il problema è a monte, in una società sempre più individualista e virtuale, che non coglie più il valore della convivialità. Quei cibi così dannosi sono anche comodi, di immediato consumo, liberano dalla necessità di acquistare tanti ingredienti, tritare, affettare, mettere in pentola, cuocere a fuoco lento, mentre si apparecchia la tavola. Per molti, tutto questo è una perdita di tempo, un dispendio di energie privo di senso. Diffondiamo invece l’idea che è importante ritrovare il gusto della tavola, non solo per il benessere fisico ma anche per quello delle relazioni umane, per ricostruire la famiglia, la comunità, le amicizie.

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