Un tempo per acquistare i prodotti alimentari ci si rivolgeva al negozio sotto casa o al mercato ambulante, oppure si andava direttamente dal produttore. Nelle città e nei borghi era facile sentire le grida del venditore che invitava ad accostarsi alla sua bancarella, esaltando la meravigliosa qualità della sua merce. Come si sceglievano i prodotti? In base all’esperienza, al passaparola. Anche oggi in parte è così ma grazie alle tecnologie il commercio ha l’opportunità di sfruttare canali comunicativi un tempo inesistenti: la carta stampata, la radio, la TV, il web. Nasce così il mondo della pubblicità. Faccio qualche riflessione, con una domanda di fondo: è la società a influenzare la pubblicità o è la stessa pubblicità a plasmare gusti e scelte? Probabilmente sono vere entrambe le cose.
Dagli anni ’50 del Novecento diventa di uso comune una nuova parola: marketing, un termine che descrive le tecniche che consentono di presentare il prodotto giusto al pubblico giusto, nella confezione giusta, al prezzo giusto, al momento giusto. E’ una disciplina socio-economica a pieno titolo, oggetto di studi universitari e master. Pensiamo ai motivetti musicali che rimangono impressi con estrema facilità, agli slogan che ci entrano in testa e diventano battute e aforismi di uso comune. La pubblicità suggerisce (qualcuno direbbe impone) modelli di vita o desideri. Molte aziende coinvolgono attori, cantanti, sportivi, personaggi famosi che sono degli idoli e il prodotto che reclamizzano diventa immediatamente desiderabile agli occhi del target di riferimento.

Concentrando l’attenzione sul mondo dell’alimentazione, probabilmente il primo a pensare ad un’operazione di marketing è stato Francesco Cirio, che fonda in Piemonte nel 1857 la celeberrima industria di pomodori pelati, che si trasferirà ben presto alla periferia di Napoli, perché utilizzava prevalentemente i pomodori San Marzano prodotti in quella regione. L’azienda molto scaltramente distribuisce ricettari, agende per le massaie, album da colorare per i bambini. Lo slogan pubblicitario “Come natura crea” induce il consumatore ad affidarsi con fiducia a quei barattoli, così comodi per le famiglie alle prese con gli stressanti ritmi della società industriale.
E vi ricordate le figurine Liebig? Nel 1872, per lanciare quel dado che era una vera novità per le cuoche, viene creata una campagna basata sulla diffusione di figurine con scene di vita familiare. L’iniziativa ebbe un successo eccezionale con milleottocento serie, prodotte fino al 1975, avviando così un fenomeno di costume e di collezionismo (se le trovate in qualche scatolone in cantina, non gettatele via, ci sono ancora collezionisti che le cercano).

Sarà il boom economico del Secondo dopoguerra a decretare la diffusione del fenomeno del marketing pubblicitario. La televisione in particolare diventa il veicolo preferito dei prodotti industriali che si riversano sul mercato.

Icona di questo fenomeno è il Carosello che, nato nel 1957, diviene ben presto un formidabile mezzo di comunicazione. “A letto dopo Carosello” diventa la frase ricorrente in tutte le case, nessuno si perdeva quei brevi sketch, con personaggi simpatici come Carmencita e Caballero per la pubblicità del caffè Paulista e la furba Maria Rosa che, dopo avere risolto mille piccoli problemi, prepara gustose torte con il Lievito Bertolini, ma soprattutto con l’interpretazione di personaggi dello spettacolo che si prestano volentieri a queste pubblicità che in molti casi daranno loro più fama di un ruolo in una tragedia di Shakespeare.

Il grande attore di teatro Ernesto Calindri beve il Cynar in mezzo alla strada trafficata (per vincere il logorio della vita moderna, come recita lo spot); Mimmo Craig si risveglia dall’incubo, scoprendo con sollievo che “la pancia non c’è più” grazie all’Olio Sasso. Nicola Arigliano, raffinato cantante jazz, è forse più noto al pubblico per il Carosello del Digestivo Antonetto. Un altro grande del jazz, Franco Cerri, nel 1968 si trasforma nell’uomo in ammollo che promuove il detersivo Bio Presto. Si tratta di piccoli capolavori, apparentemente ingenui, in realtà studiati nei minimi dettagli da esperti della comunicazione, che hanno fatto centro visto il successo del programma e il grande impatto pubblicitario degli articoli reclamizzati.
I prodotti dell’industria alimentare diventano icone della modernità e del ritrovato benessere economico e sono preferiti ai vecchi prodotti artigianali, che rispecchiano un modo di vivere considerato ormai superato dalle nuove mode. Rimangono alcune immagini rassicuranti, come quelle della brava moglie e madre che fa di tutto per rendere felice l’intera famiglia con pranzetti succulenti, anche se con l’indispensabile aiuto di prodotti industriali che, come recitano gli slogan, sono dei risparmia-tempo e danno gusto con meno fatica.

A poco a poco questa immagine della donna di casa lascerà il posto, anche nella pubblicità, alla donna moderna e attenta alla cura del proprio corpo, che mangia barrette energetiche e beve bibite corroboranti dopo una bella corsa al parco, mentre i suoi figli mettono negli zaini le merendine e il succo di frutta nel brick. E la nonna appende al chiodo il mattarello, perché le tagliatelle industriali sono uguali o addirittura migliori delle sue. La pubblicità ci presenta uomini che preparano cene romantiche alla donna da conquistare, grazie a sughi pronti, e studenti fuori sede che scaldano in forno i surgelati.
A un certo punto, smaltita la sbornia di prodotti industriali presentati come veloci e di buona qualità, si assiste ad una ritrovata attenzione verso prodotti sani che induce la pubblicità a lanciare messaggi rassicuranti che fanno perno sulla genuinità ed il rispetto degli ingredienti naturali: Antonio Banderas parla con una gallina nella fattoria mentre prepara le fette biscottate, sulla cui scatola ci sono immagini di uova e zucchero, che danno l’impressione di prodotti a chilometro zero. L’attenzione (o ossessione?) per la linea viene declinata negli spot che esaltano i cibi light, senza grassi, senza ingredienti che diventano politicamente scorretti. Non mancano messaggi purtroppo fuorvianti: Nino Castelnuovo salta lo steccato con prestanza fisica perché condisce l’insalata con l’olio di semi, alimentando implicitamente l’erronea convinzione che quel tipo di olio sia più salutare e leggero rispetto a quello extravergine di oliva. La sensibilità sempre più green e il nuovo mantra della sostenibilità porta infine la pubblicità ad enfatizzare maggiormente le doti di riciclabilità del packaging piuttosto che il sapore e la gradevolezza del biscotto in esso contenuto.

La pubblicità è figlia del suo tempo: studia i modelli culturali prevalenti e li sfrutta a proprio vantaggio e al tempo stesso contribuisce al rafforzamento ed alla diffusione dei modelli culturali maggiormente funzionali al proprio business. Certo, sappiamo che il messaggio pubblicitario può essere ingannevole ma se è ben ideato e confezionato risulta seducente ed espone al rischio di plasmare e determinare convinzioni e desideri. Non va comunque demonizzato: è anche una espressione di arte e creatività, nonché specchio del proprio tempo, attraverso il quale possiamo capire lo stato di salute di una società e di una cultura.