Ecco un film dedicato al mondo della cucina, molto particolare, delicato, sofisticato. È estremamente rilassante, nulla a che vedere con i film ambientati nelle cucine dei grandi ristoranti stellati, con chef stressatissimi e arroganti, ritmi frenetici e ansia perenne. Già la location è affascinante, una elegante casa della campagna francese con una cucina immensa, la cucina dei nostri sogni, con grandi tavoli, un camino monumentale, la stufa economica, pentole di rame e mille accessori. I colori pastello contribuiscono a trasmettere l’idea del calore di quell’ambiente intimo e piacevole. Siamo alla fine del XIX secolo, Dodin (interpretato da Benoit Magimel) è cuoco e gourmet: lui ed Eugenie (una deliziosa Juliette Binoche) lavorano fianco a fianco da anni, in un sodalizio perfetto da un punto di vista gastronomico e con una tranquilla e affiatata relazione sentimentale. Lui vorrebbe trasformare tutto questo in un matrimonio, a lei va bene così. Riuscirà Dodin a convincerla? Magari cucinando solo per lei una cena raffinata?
Non faccio spoiler, ma vi consiglio di vedere questo film, a patto che vi piacciano le minuziose inquadrature di pentole e ingredienti, le scene lente con la telecamera che segue passo passo la realizzazione del rombo annegato nella salsa, del carré di vitello e dell’omelette norvégienne, il dessert flambé con gelato all’interno. Tra un piatto e l’altro, il film suggerisce molti valori positivi: una cucina che non è competizione ma solo piacere della realizzazione di un piatto gourmet che trasmette felicità a chi lo gusta; l’amicizia tra coloro che condividono questa passione per la gastronomia, che siedono a tavola insieme godendo della reciproca compagnia in un clima rilassato; la voglia di condividere le proprie competenze con chi ha desiderio di imparare, in una comunicazione di saperi che genera passione e speranza: la piccola Pauline, così dotata, è il futuro, la possibile erede di una sapienza che merita di essere trasmessa.

Per Dodin ed Eugenie la cucina è un modo per procurare all’altro piacere e gioia, per dire “ti voglio bene”, occasione di riflessione sul passare del tempo, sui cicli delle stagioni e della vita. Quanta delicatezza nel dialogo sull’autunno, stagione che potrebbe essere foriera di tristezza, del declinare dell’estate (con una sottintesa metafora delle stagioni della vita) ma che per Dodin diventa al contrario momento entusiasmante grazie a sempre nuovi frutti che la terra offre. La colonna sonora è quella dello sfrigolio dei manicaretti, del sobbollire delle salse e dei brodi, verrebbe voglia di avvicinarsi allo schermo per annusare ed assaporare quelle preparazioni. Il burro viene chiarificato, il brodo viene filtrato, a tratti sembra un documentario sulla cucina francese della fine dell’Ottocento: Dodin e i suoi amici a tavola commentano la vita e i trionfi di Careme, di Auguste Escoffier e di Cesar Ritz che hanno appena aperto il loro hotel, raccontando aforismi e divertenti aneddoti sulla cultura della tavola.

Non so come potrebbe essere giudicato questo film da chi vede il cibo solo come nutrimento, da chi ama i fast food, da chi ordina al delivery, da chi insomma considera una perdita di tempo stare ore e ore in cucina a trafficare tra pentole e fornelli. Però potrebbe anche, chissà, essere occasione di “conversione”: attraverso la percezione della cucina come pazienza, dolcezza, elegante corteggiamento, trasmissione di saperi e sapori, gesto di amore e condivisione, voglia di tradizione ma anche di innovazione, radici nel passato ma curiosità per quello che il futuro potrebbe trasmettere. C’è un cibo per il corpo e un cibo per l’anima.
“Il gusto delle cose”, Francia, 2023, durata 135 minuti. Regia e Sceneggiatura: Anh Hung Tran.