Il 2016 è stato un anno pieno di sorprese, che ha portato molti cambiamenti nella mia vita. Gli gnudi sono legati ad un momento particolare: mio marito ed io nel mese di novembre andiamo a Firenze, non per turismo ma per un appuntamento da un notaio. Una cosa seria, nei confronti della quale avevamo anche un po’ di trepidazione. Per non rischiare di arrivare in ritardo, a causa di qualche spiacevole contrattempo, prendiamo il treno con largo anticipo e arriviamo alla stazione di Santa Maria Novella all’ora di pranzo. Accidenti, adesso per ingannare l’attesa ci tocca andare a mangiare in una trattoria toscana. Dura la vita.
Scegliamo un locale vicino allo studio notarile. Ci accomodiamo e noto subito che si tratta di un ambiente ruspante, con tovaglie a quadrettoni e su ogni tavolo un bel fiasco di Chianti, di quelli con la paglia. Alla parete, un cartello che invita con decisione a non chiedere la cottura della Fiorentina secondo gusti personali, men che meno ben cotta! La Fiorentina si fa come si deve fare e basta.
L’atmosfera è simpatica, schietta, di quelle che mi piacciono. Avevamo bisogno di un po’ di relax e l’abbiamo trovato. Il menu è quello della più autentica tradizione fiorentina, c’è l’imbarazzo della scelta. Mi saltano all’occhio gli “gnudi”: ne avevo sentito parlare, ma non li avevo mai mangiati. Li ordino con curiosità e mi hanno davvero entusiasmato. Ma cosa sono, vi chiederete? Sono il ripieno dei ravioli, senza la pasta intorno. Sì, perché anticamente il “tortello” era l’involucro di pasta (una piccola torta), il raviolo era il suo ripieno. Quando il raviolo è diventato nel lessico gastronomico una variante dei tortelli e tortellini, quindi un tipo di pasta ripiena, i toscani hanno mantenuto la tradizione dei ravioli gnudi, senza la sfoglia, in pratica una polpettina di ricotta e spinaci. Anche nel libro di Pellegrino Artusi La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene (che ha avuto la sua prima edizione alla fine dell’Ottocento) leggiamo che «i veri ravioli non si fanno di carne e non si involgono nella sfoglia». E l’Artusi, romagnolo di nascita, era fiorentino d’adozione.
Ricetta semplice, contadina, fatta con ingredienti poveri, eppure vi garantisco che sono una vera prelibatezza. A volte i piatti più genuini e schietti sono anche quelli più gradevoli e in questo caso si tratta di una piacevole sorpresa. Rispecchiano la cucina del riciclo, quella di chi riesce a mettere in tavola cose molto sfiziose con il poco che c’è in dispensa. Hanno un sapore delicato, se li mettete in tavola fate un figurone. In un libro di ricette del simpaticissimo cuoco Luca Pappagallo che Andrea mi ha regalato per Natale ho letto la ricetta degli gnudi e ho deciso di farli, convinta che, una volta buttate quelle polpettine nell’acqua bollente, si sarebbero sfatte; invece sono venute benissimo! Vi garantisco che sono veloci e facili da fare. Luca Pappagallo consiglia di condirli con burro e salvia, ma io ho preferito adagiarli su un velo di passata di pomodoro, così come li ho gustati in quella trattoria fiorentina, in quel fatidico mese di novembre 2016. Perché ho voluto riprovare quella sensazione gustativa ma soprattutto quell’emozione, un po’ come Proust con la madeleine della zia. Perché i piatti a volte non sono solo piatti: sono ricordi, storie di vita vissuta.
Vi segnalo a questo link il video di Luca Pappagallo che vi spiega la ricetta, e vi consiglio di cimentarvi.
Per dovere di cronaca: l’appuntamento dal notaio fiorentino è andato benissimo, gli gnudi mi hanno portato fortuna!