Lo confesso, anch’io ho ceduto alla tentazione del delivery. Ma alla domanda del confessore: “Quante volte, figliola?” rispondo che si tratta di episodi che si contano sulle dita di una mano. Le circostanze erano anche molto particolari, avevo delle attenuanti: eravamo in pieno lockdown, i ristoranti erano chiusi e posso dire che l’ho fatto anche per rispondere al grido di dolore di quei locali che sollecitavano le consegne a domicilio, come unica fonte di reddito in un periodo difficile (per non dire drammatico) per il settore della ristorazione. Non è stata comunque solo opera di solidarietà sociale: anche voglia di mangiare qualcosa di diverso e soprattutto piatti che io in casa proprio non so preparare.
Come già sapete, mi piace cucinare, per me mettermi ai fornelli è un antistress, oltre che un piacere. Ogni tanto vado al ristorante per la qualità della cucina, per godere di un ambiente piacevole, organizzando la serata con amici con i quali posso chiacchierare in santa pace, senza la preoccupazione di seguire la cottura dei cibi. Mi sento servita e coccolata, il piacere insomma è garantito.
Il delivery a casa mia è l’eccezione alla regola ma la pubblicazione della Mappa del cibo a domicilio in Italia, pubblicata da Just Eat, mi stuzzica a fare il punto della situazione. Quali sono le nuove tendenze? Come si evolve questa fetta di mercato? Perché se il food delivery ha registrato una crescita esponenziale ai tempi della fase acuta del Covid-19, anche adesso che ci siamo felicemente lasciati alle spalle tutte le chiusure e le restrizioni della pandemia i dati del settore sono in costante crescita.
Gli italiani che hanno risposto al sondaggio hanno manifestato apprezzamento per il cibo a domicilio per la varietà, la velocità, la facilità di utilizzo. Scarico una App e in poco tempo posso cenare, senza fatica. Non devo fare la spesa, riempire il frigorifero, addio alle padelle, ai mestoli, ai tempi di cottura, alla pulizia del fornello.
L’indagine di mercato non solo racconta quali sono i piatti più amati, le cucine esotiche più ricercate, ma anche quali sono le abitudini che si sono consolidate, rivelando una vera e propria rivoluzione nell’approccio al cibo. Addio ai riti tradizionali, alla prima colazione nutriente e sana alla quale poi seguiranno due pasti principali, con la cena consumata in famiglia ad un orario stabilito. Aumenta infatti il consumo di piccoli snack in vari momenti della giornata e il delivery si attrezza per la consegna di brioche e tramezzini, toast e fette di torta. Il pranzo è sostituito dal brunch, l’apericena è più di moda rispetto al pasto serale. Non a caso, sono i giovani a guidare queste tendenze (alla parola apericena in casa mia scatta una specie di reazione allergica, ma si sa, noi siamo boomers). Peraltro, è anche l’aumento del numero dei single e la crisi della famiglia a determinare questo triste tramonto del rito della tavola. E pensare che i nutrizionisti mettono in guardia contro gli snack fuori pasto, denunciano la crescita preoccupante dei disturbi dell’alimentazione.
E’ anche curioso notare che nel sondaggio gli intervistati esprimono una forte consapevolezza ambientale, green, con passioni vegetariane e vegane, con grande attenzione alla salute, nel rispetto della sostenibilità ambientale e della lotta allo spreco. Parole che sono ormai una specie di mantra, ma che non capisco come possano andare insieme al concetto di food delivery, con tutto quel packaging che necessariamente viene prodotto, con la rete di trasporti che comporta, con la scarsa (se non nulla) conoscenza degli ingredienti che effettivamente ci sono dentro quei contenitori. Considerando che il 90 % afferma di avere scelto i piatti in base alle foto pubblicate sui social e sui siti internet, mi chiedo: ma in che senso hanno ordinato con sensibilità ambientale? E poi ammettiamolo: cosa c’è di più green e salutare della cucina casalinga, utilizzando il giorno seguente gli avanzi per fare polpette, zuppe e insalatone?
Molto significativo il risultato del sondaggio a proposito del binomio “cibo-condivisione”. Infatti, il 65% del campione di intervistati afferma di apprezzare il cibo in compagnia ma in occasione di contesti particolari: ad esempio le partite di calcio o le serate dedicate alla visione di talent show o serie TV. Insomma: tutti davanti allo schermo, con in mano un contenitore di cibo ordinato con una App. Amici, teniamo alta la bandiera della convivialità, quella vera, di chi mette le gambe sotto il tavolo, guardandosi negli occhi con gli altri commensali, conversando piacevolmente (e con la TV spenta).
La perdita della manualità in cucina non è cosa da sottovalutare: si perde il contatto con la materia prima. Non sappiamo più come è fatto il pane, quali sono le stagioni della frutta e della verdura, cosa si prova a impastare gli gnocchi. Bisogna recuperare il valore delle cose concrete, l’esercizio della pazienza, dell’impegno a lungo termine, della cucina come dono e come attività comunitaria, della tavola come condivisione di amicizia e affetti, occasione di ascolto e relazione vera.
Leggo un articolo su un quotidiano a proposito del “metaverso”: «Gli esperti di mercato immobiliare stimano che sarà il 2030 l’anno a ridosso del quale la cucina inizierà a sparire dalle nostre case. Praticamente domani. Ordineremo cibo da fuori, come stiamo già facendo, mangeremo cibo che non ha bisogno di essere cucinato» (“Amore, svago e affari nel metaverso. Così per il 75 % la vita sarà digitale”, di Tommaso Labate, Corriere della Sera 2-12-2022). I metri quadri che ora sono occupati da fornelli, lavandini, armadi pieni di pentole, piatti e bicchieri saranno lo spazio della casa destinata alle esperienze virtuali del metaverso. Tanto la cucina non servirà più, grazie al food delivery.
Per quanto mi riguarda, la mia casa resterà baluardo di gastronomia casalinga, luogo dove i miei familiari e gli amici troveranno sempre una tavola apparecchiata, un calice di vino e un pranzo come si deve. La rete e la connessione virtuale sono strumenti che hanno migliorato la nostra vita e non sono chiusa ai loro nuovi sviluppi, ma la cucina deve rimanere qualcosa di reale, opera delle nostre mani. Non è una perdita di tempo. Non mangiamo solo per la sopravvivenza, come fanno gli animali, ma a tavola ci nutriamo anche di rapporti umani, rapporti reali, non virtuali. E’ in gioco il benessere fisico, psicologico, relazionale della nostra società. E’ in gioco anche la tutela della natura, che non può essere tirata in ballo solo quando fa comodo, da giovani che scendono in piazza per il pianeta e poi ordinano pasti con una App.
Come scrive la mia amica di facebook Annalisa Teggi: «Non stupisce che l’ambizione distopica voglia togliere un luogo tenacemente ancorato a tutti i 5 sensi + 1: cucina è gusto, udito, tatto, olfatto, vista + comunità. Li contraddiremo con un vero futuro radioso, servendo tutte le portate di Babette, i tegami di fagioli di Bud Spencer e Terence Hill, i maccheroni di Alberto Sordi …. andate avanti voi».
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