Sgranando fagioli con un eremita

Cammino lungo le corsie del supermercato. Mi cade lo sguardo su una cassetta di baccelli di fagioli, merce rara, presente solo in autunno e per pochi giorni. Ormai siamo abituati a comprare i fagioli in scatola o in un vasetto di vetro, già lessati. Oppure prendiamo quelli secchi e li mettiamo in ammollo per una notte, e il giorno dopo li cuciniamo con un pizzico di creatività. Chi compra i fagioli freschi ancora nel loro baccello, passando del tempo a sgranarli? Se qualcuno alza la mano, mi complimento vivamente. Anch’io, che amo la cucina e mi piacciono molto i legumi, approfitto delle comodità dell’industria alimentare. Ma quella cassetta di baccelli mi ha fatto immediatamente tornare alla memoria una mattina d’autunno all’Eremo di Minucciano, quando ho trascorso una mattinata intera a sgranare fagioli in compagnia di Fra Marco. E vi assicuro che è stata un’esperienza spirituale.

Quando si trascorre qualche giorno all’Eremo si vive l’esperienza dell’Ora et labora. Ci si sveglia all’alba per la liturgia delle Ore e la Messa e dopo colazione i monaci si mettono al lavoro. Gli ospiti possono passeggiare nel bosco, godere del silenzio della montagna, meditare, curiosare nella ricca biblioteca. Oppure lavorare con i monaci, anche per sdebitarsi della loro generosa ospitalità. Armata di buona volontà, chiedo a Padre Lorenzo cosa posso fare e lui mi indica una montagna di baccelli, sotto il grande portico di ingresso all’Eremo. Fra Marco quella mattina ha l’incarico di sgranarli e la mia collaborazione sarebbe gradita. Sono davvero tanti quei baccelli, frutto del loro orto: i monaci sono bravi agricoltori e la natura quell’anno è stata particolarmente generosa. Un poco preoccupata per il lavoro che mi aspetta, non posso però tirarmi indietro e mi siedo accanto all’eremita.

E’ una piacevole mattina d’autunno, il clima è mite, davanti a noi ci sono le montagne della Garfagnana, con i loro castagni e i profumi di sottobosco. Mentre lavoriamo, chiacchieriamo piacevolmente: gli racconto qualcosa di me (argomento poco interessante) e poi tocca a lui parlarmi della sua vita e la conversazione prende una piega ben più profonda. Mi spiega la sua scelta vocazionale, mi descrive le sue giornate all’Eremo. Le parole sono intercalate da continue giaculatorie di ringraziamento alla Madonna, da tanti riferimenti alla Grazia di Dio. La sua voce calma e serena trasuda amore per Nostro Signore e per Sua Madre in particolare. Mi racconta del lavoro nell’orto, dello scorrere delle stagioni, del raccolto generoso, della cura che metteranno nel conservare gelosamente quei frutti della terra, affinché nulla vada sprecato e possano contare durante l’inverno sul cibo che hanno messo in dispensa. Di baccello in baccello intravedo il segreto del monachesimo, l’impegno nel lavoro che viene svolto con cura, attenzione, con risultati che tendono all’eccellenza: chi ha lo sguardo puntato verso l’alto si impegna a fare bene ogni cosa.

Dalla voce pacata e dolcissima di Fra Marco percepisco il valore dell’attesa e della pazienza, la costanza del ripetere sempre gli stessi gesti, sapendo cogliere l’importanza della fatica fatta per il bene di tutta la comunità ma anche con un totale affidamento alla Provvidenza. Fra Marco ha ben chiaro l’obiettivo e la motivazione di quel lavoro. Nelle sue sagge parole trovo uno stretto legame tra vita contadina e riflessione filosofica e spirituale: un insieme di realismo e di elevazione verso cose mistiche, riflessione sul valore del tempo, sul rispetto dei ritmi della natura e fiducia in Qualcuno che dall’alto vigila e si prende cura dei suoi figli.

E intanto i fagioli escono dal baccello e cadono nel cesto che li raccoglie, le nostre mani sono ruvide e un poco doloranti per lo sfregamento continuo ma l’opera che a prima vista sembrava tanto impegnativa si rivela piacevole grazie a quella conversazione così profonda e piena di speranza. Ma sto sgranando fagioli o sto sgranando un Rosario? Alla fine della mattinata in un angolo del portico c’è una montagna di baccelli vuoti e al centro una grande cesta piena di legumi. Una bella soddisfazione e tanta pace spirituale.

Mi tornano alla mente le parole di don Luigi Maria Epicoco, che ho già pubblicato in un post del mio blog: «Perché le cose più buone ce le hanno i monaci? La miglior cioccolata, la miglior birra, i migliori liquori, i migliori infusi, i migliori manufatti? Perché chi è allenato alla presenza del Signore, a servirlo perché lo riconosce in qualcosa di sacro, comprende che il profano è ugualmente sacro e per questo fa tutto con amore, con cura, con dedizione, con passione, con totalità, con gusto, perché riesce ad avere cura di una cosa che normalmente consideriamo banale, rallentando, gustando, mettendoci tutto sé stesso». Ecco come hanno fatto i monaci benedettini a risollevare l’Europa dalla crisi e a contribuire al benessere economico dei territori circostanti, creando le condizioni per lo sviluppo economico, sociale e spirituale del nostro continente.

Penso a quante volte nelle campagne le famiglie si dedicavano a questo lavoro: la trasformazione dei prodotti della terra era un’attività importante, da svolgere tutti insieme, aiutandosi l’un l’altro, magari seduti intorno ad un camino acceso. Anche i ragazzini facevano la loro parte, imparando così il valore della fatica, della pazienza, della collaborazione. E intanto si parlava, ci si confidava, si cantavano musiche popolari, si raccontavano storie antiche e ancestrali, fiabe e miti.

Oggi tutto è a portata di mano, senza fatica. Rischiamo di perdere quel contatto con la terra. Anche se non sgrano fagioli, mi riprometto di cucinare appena sarà possibile una bella ribollita toscana, invitando amici intorno ad una tavola ben apparecchiata, stappando un buon vino. Le chiacchiere e l’intimità con le persone alle quali voglio bene saranno garantite. E magari racconterò loro della mia esperienza a Minucciano, quando ho sgranato fagioli con Fra Marco.

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