Vi ho parlato (ecco il link) della storia del riso. Vi sarà venuta l’acquolina in bocca e adesso vorrete sapere qualcosa a proposito del suo utilizzo in cucina. Nel mio blog non scrivo nei dettagli le ricette, a parte qualche rara eccezione. Il web pullula di siti internet e blog con preparazioni culinarie, avete l’imbarazzo della scelta e potete affidarvi e dei veri esperti. Io vi racconto il contesto culturale, l’origine di certi piatti e degli ingredienti utilizzati. Così quando ci si siede a tavola si è un po’ più consapevoli dell’importanza di quello che mangiamo, della lunga storia che c’è dietro, per averne rispetto e gustare ancora di più quei sapori.
Tra i piatti che sono un’icona della cucina italiana, metto al primo posto il risotto alla milanese, e non lo faccio solo perché sono cresciuta all’ombra della Madonnina. Stando a un antico manoscritto conservato nella Biblioteca Trivulziana di Milano, la nascita di questa specialità sarebbe legata nientepopodimeno che al Duomo di Milano. Siamo nel 1574 e Maestro Valerio di Fiandra, fiammingo di Lovanio, è impegnato nella realizzazione delle vetrate della Cattedrale. Il suo aiutante aggiunge sempre una punta di zafferano ai colori, per creare un effetto più brillante, e questa sua abitudine gli valse il soprannome di Zafferano. Un giorno il maestro disse al giovane che, se continuava così, avrebbe finito per infilare la spezia pure nei piatti. Infatti a quei tempi lo zafferano non era ancora usato in cucina ma solo come colorante e per preparazioni di erboristeria. Per scherzo o per vendicarsi delle continue prese in giro del suo Maestro, l’apprendista, in occasione delle nozze della figlia di Valerio, ne butta un pizzico nel riso, ma inaspettatamente il tiro mancino si rivela una trovata molto apprezzata dai commensali, per il gusto e per il colore allegro e brillante del piatto.
In un ricettario del 1829 si descrive il procedimento che prevede già l’utilizzo del midollo di bue e del formaggio grattugiato a fine cottura. Ma quale è la ricetta autentica? Possiamo dire che non esiste, se persino Pellegrino Artusi nel suo libro La scienza in cucina e l’arte del mangiare bene ne dà tre versioni. Ricordiamo il risotto dello chef Gualtiero Marchesi, decorato con una foglia d’oro e servito su un piatto nero: un’icona del suo ristorante gourmet. Ma una vera e propria ode al risotto alla milanese è stata composta dallo scrittore Carlo Emilio Gadda, che comincia dalla lode della pentola luccicante di rame e poi dà precise raccomandazioni sull’uso del burro, possibilmente lodigiano: «Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano, Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all’Adda e insino a Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!» Ecco come un piatto apparentemente semplice diventa simbolo di una città.
Le prime risaie italiane sono quelle del Vercellese e anche quella provincia ha la sua pietanza tipica: la panissa, della quale esistono varie versioni ma che hanno tutte alla base il soffritto di cipolla, lardo e salame al quale viene aggiunto il riso sfumato con il vino rosso e poi cotto nel brodo di fagioli. Infine, una bella mantecatura di formaggio grattugiato.
Nell’Italia meridionale il riso non si coltivava, era importato ed era pertanto un cibo di lusso. Sulle tavole dei signori si servivano leccornie ricche ed elaborate: il sartù napoletano, un timballo con pomodori, melanzane fritte, uova sode e polpettine di carne; la tiella pugliese con cozze e verdure. Anche la tradizione degli arancini siciliani (o arancine? attenzione alla provincia di produzione) e dei supplì romani vede il riso arricchito con ragù, formaggio, piselli. Leccornie un tempo appannaggio di nobili e ricchi borghesi. Oggi lo chiamiamo street food ed è un cibo gourmet alla portata di tutti.
Anche la Spagna ha una lunga tradizione nella coltivazione del riso, soprattutto nella regione di Valencia dove si trovano ampie zone acquitrinose, lagunari. In quelle paludi nuotano le anguille e sulla terraferma si coltivano saporite verdure. E siccome si cucina con quello che c’è, ecco la paella, cucinata col riso, il pesce e le verdure. Prende il nome dalla padella larga e piatta dove viene cotta. Ecco come nascono i piatti nazionali!
Mi fermo qui, perché ho voluto limitarmi alla cucina italiana, con una breve digressione verso la Spagna. Ma potremmo andare molto lontano: il proliferare anche da noi di ristoranti cinesi, giapponesi e indiani ci permette di conoscere l’utilizzo del riso nella cucina orientale, dove è davvero al centro della tradizione gastronomica, un po’ come la pasta per noi italiani. Si calcola che il riso sia alla base della nutrizione della metà della popolazione mondiale ed entra nella dieta di 2/3 di essa. E’ versatile ed è quasi sempre abbinato ad altri alimenti. E’ arrivato da lontano sulle nostre tavole, ma noi italiani come al solito abbiamo saputo farlo “nostro”, con ricette originali e gustose.
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