Il silenzio della cantina al Castello di Razzano

Le vigne ancora spoglie si alternano ad alberi da frutto già pieni di fiori: la primavera comincia finalmente a fare capolino e a breve anche sui tralci faranno la loro comparsa le foglie e i grappoli d’uva. L’automobile procede lenta sulle colline del Monferrato, tra borghi e campanili, rustici casali e distese di filari. La nostra meta è il Castello di Razzano, antica dimora trasformata in un elegante Relais: lo charme del passato è custodito con cura negli ambienti raffinati, il cortile interno ha un bel giardino all’italiana e su di esso si affaccia l’enoteca dove faremo la degustazione. Poteva essere una visita simile a tante altre, ma non è stato così.

Prima degli assaggi di Barbera e Grignolino, veniamo invitati a visitare il “Museo ArteVino”, un percorso lungo il quale si alternano installazioni, oggetti d’epoca e ricostruzioni di ambienti rurali che rievocano la vita contadina. C’è la cucina di inizio Novecento con la stufa economica, la madia e i tanti oggetti che ci sono familiari perché li abbiamo visti nelle case dei nostri nonni, e magari li conserviamo ancora, come ricordo d’altri tempi. C’è il laboratorio con tutto il necessario per la realizzazione delle botti. In una teca sono esposti dei bicchieri di tutte le fogge, dai più semplici ai più artistici e preziosi, per degustare adeguatamente il vino più raffinato.

Alla fine del percorso museale, arriviamo al clou della nostra visita: le cantine storiche del castello. Forse è la prima volta che entriamo in un luogo così monumentale da soli. In genere la visita è fatta in gruppi e con l’accompagnamento di una guida, che spiega con dovizia di particolari e grande competenza l’epoca di realizzazione dell’edificio, la bella storia della famiglia di viticoltori che da generazioni si dedicano a quell’arte, la provenienza delle botti e il materiale con il quale sono fatte, i diversi vitigni utilizzati, il tempo di affinamento e via discorrendo. Informazioni preziose e sempre interessanti, diverse da azienda ad azienda, rivelando così la specificità di ogni produttore e la ricchezza del patrimonio enologico del nostro Paese.

Ma questa volta Andrea ed io ci troviamo soli in quella grande cantina, in un ambiente silenzioso, passeggiando nella penombra in mezzo a botti imponenti. La sensazione (mi perdonerete il paragone) è quello di essere in una specie di cattedrale, nella quale veniamo naturalmente portati ad abbassare la voce, a parlare bisbigliando, quasi a non voler disturbare quella quiete che sembra religiosa. Suggestione? Siamo consapevoli che in quell’ambiente c’è qualcosa di vivo che sta maturando nel silenzio e che non deve essere disturbato dal chiasso e dalle chiacchiere futili. Calma, serenità, pace: sono le parole che mi vengono in mente. Quante cose stanno accadendo in quelle botti: siamo abituati dal mondo moderno a pensare che per arrivare ad un risultato ci voglia un’attività frenetica, servano tante parole, soprattutto si debba ottenere il massimo risultato nel minor tempo. Con il vino non è così. Ci vuole pazienza, ci vuole il silenzio e la pace di una cantina dove a poco a poco il succo estratto dall’uva si trasformerà in un nettare prezioso. Ci vorranno molti mesi, a volte anni.

Quante cose nella nostra vita meriterebbero questa stessa calma. In tante occasioni dovremmo avere il coraggio di mettere un freno ai ritmi frenetici della modernità e realizzare anche nel nostro quotidiano il silenzio e la semioscurità di quella cantina, dove i pensieri si distendono e i progetti maturano meglio e con maggior profitto. «Il vino è la poesia della terra», scriveva Mario Soldati. A volte il vino è anche maestro di vita.

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