Per scherzare, ma non troppo, mio padre cita spesso la celebre battuta: “I migliori cuochi sono uomini!”. È una vecchia questione che fa sempre discutere. La donna per secoli è sempre stata la regina del focolare ma non nel senso sdolcinato del termine, oppure con intenti discriminatori, ma perché reggeva la casa sotto tutti gli aspetti ed era la detentrice di saperi arcaici, conoscenze che venivano tramandate da madre in figlia: competenze nella trasformazione dei prodotti agricoli e nella loro conservazione, sapienza nel gestire le risorse familiari. Non è un caso se nei miti antichi le divinità della terra erano femminili: Demetra per i Greci, Cerere per i Romani. In Lombardia la chiamano la regiura, in Emilia la rezdora: se ci fate caso, la radice è quella di rex, è la donna che con il suo vigore, la sua intelligenza, maestria e competenza tiene le redini della famiglia, in ogni aspetto del ménage, colonna portante non solo delle famiglie ma di tutta la società. La donna nella società contadina ha sempre avuto un ruolo molto importante da un punto di vista economico.
Anche gli uomini hanno antica consuetudine con la cucina: soprattutto la gestione dello spiedo è sempre stata una prerogativa maschile perché richiedeva molta forza fisica, nel trasporto della legna, nella gestione del fuoco e nella cottura dei grandi pezzi di carne. Se notate, il barbecue resta ancora oggi una passione ancestrale del genere maschile. Insomma, donne e uomini lavoravano insieme nei campi e in cucina con armonia e spirito di collaborazione, ognuno secondo i propri talenti.
Questo equilibrio e rispetto reciproco si è spezzato quando nel XVIII secolo in cucina entra la scienza, quando i chimici e i biologi cominciano ad occuparsi degli ingredienti e della loro trasformazione e i trattati di gastronomia assumono uno stile accademico. Le donne si ritiene non abbiano le adeguate conoscenze scientifiche per potersi occupare di cucina ad alto livello, che diventa così il regno degli uomini. Alle corti degli aristocratici i cuochi sono uomini. Le donne continueranno a cucinare in famiglia e alle dipendenze delle famiglie borghesi. In realtà la loro capacità ai fornelli è molto apprezzata perché più sana e gradevole, grazie a cibi preparati in modo naturale e senza artifici sfarzosi che a lungo andare sono dannosi alla salute e sono anche stucchevoli. L’immagine è quella di cuochi molto orgogliosi e vanitosi, che pensano alla loro fama, su tavole esagerate e un poco pacchiane; e di cuoche umili e attente alle esigenze dei loro datori di lavoro, soprattutto fedeli custodi delle tradizioni, dei regionalismi, della cultura domestica e delle identità locali.
Quando il vento di cambiamento sociale che attraversa tutta Europa nell’Ottocento porterà i grandi chef ad aprire ristoranti lussuosi, le donne non mancheranno all’appuntamento con questa nuova opportunità: nella grande offerta variegata del mondo della ristorazione dimostreranno in molte occasioni di essere quelle che mettono in tavola tradizioni e sapori regionali che grazie al loro infaticabile lavoro non sono andati perduti, con attenzione alla qualità, alla finezza e al buon gusto.
La società nell’Ottocento è davvero profondamente cambiata. Le donne dell’alta borghesia gestiscono e controllano il lavoro della servitù ma per farlo adeguatamente devono comunque conoscere la gestione della casa e le sue necessità. L’aiuto del personale domestico si riduce peraltro sempre più, fino a quasi scomparire nella maggior parte delle famiglie italiane del corso del Novecento. Con la diffusione della stampa popolare, cominciano a diffondersi libri e riviste di cucina che si rivolgono esplicitamente al pubblico femminile, mentre fino ad allora le poche pubblicazioni di cucina erano scritte da uomini per i grandi chef. In queste nuove pubblicazioni non ci sono solo ricette ma si tratta un po’ tutto il vasto mondo dell’economia domestica, da come si stira a come si gestisce il guardaroba, da come si organizza il tè delle cinque a come si prepara una cena importante. Ha un grande successo “Il Talismano della Felicità” di Ada Boni, pubblicato nel 1925; negli stessi anni le signore non si perdono la rubrica della Domenica del Corriere “Tra i fornelli” di Petronilla, pseudonimo sotto il quale si nasconde il medico Amalia Moretti Foggia Della Rovere. C’è un profondo cambiamento di stile in questi ricettari, forse proprio perché sono scritti da donne: da un tono cattedratico si passa ad uno più colloquiale. È lo stile che troviamo ancora oggi nelle riviste di settore e anche nelle simpatiche protagoniste di trasmissioni televisive dedicate alla cucina.
La Rivoluzione industriale porta altri venti di cambiamento: le donne cominciano a lavorare nelle industrie, negli uffici, nel mondo del commercio e dei servizi, nelle scuole e negli ospedali, dando un importante contributo alla società, ma si apre la questione complicata della conciliazione tra lavoro e famiglia. Come si fa ad avere il tempo per stare ai fornelli? La produzione industriale di cibo, le scatole di pasta, i dadi pronti e i barattoli di fagioli, piselli e pomodori pelati aiutano le donne a mettere qualcosa in tavola senza dedicare troppo tempo alla cucina. I nuovi elettrodomestici, il frigorifero, il forno a gas, il frullatore e l’impastatrice dovrebbero essere un incentivo a cucinare, invece, proprio quando la tecnologia offre il suo grande aiuto, la pratica culinaria rischia di essere abbandonata, lasciando il posto ai cibi pronti, ai prodotti industriali precotti. Ed ecco allora l’arrivo del microonde e infine la nascita e l’affermazione del delivery a domicilio di cibi pronti per essere consumati.
In cucina c’è igiene, funzionalità, sicurezza, velocità: ma il rischio è che nessuno si metta più ai fornelli, e che quindi si perdano i sapori veri, si smarriscano manualità e segreti della gastronomia, abbandonando le tradizioni, quelle che esigono tempo e pazienza. Chi si ricorda più il sapore di un minestrone fatto con le primizie dell’orto? È così comodo quello pronto, da scaldare in due minuti. Ci si può nutrire anche senza avere in casa pentole e piatti, perché basta utilizzare i contenitori usa e getta del supermercato.
Mi rendo conto che ho dipinto un quadro un po’ troppo fosco, apocalittico, da letteratura distopica. Magari è proprio quello che accade in qualche casa, ma per fortuna c’è ancora chi ha voglia di stare ai fornelli, di mantenere buone abitudini, di riunire familiari e amici intorno ad una tavola mangiando buoni manicaretti. La cucina diventa però in molti casi un optional, un’attività relegata al tempo libero, un hobby. Una volta era necessità ma anche cultura: la tavola familiare quotidiana era attenzione all’alimentazione dei propri cari, occasione di conversazione, un rito col quale si cementava l’amore reciproco.
Ma per tornare al dibattito dal quale sono partita: ai fornelli sono più brave le donne o gli uomini? La diatriba oggi non ha più senso: conosco uomini che sono bravissimi a fare il pane in casa e si dedicano con passione a questo nuovo passatempo; che si divertono a fare la spesa andando a cercare prodotti gourmet e che sfogliano volentieri le riviste alla ricerca di nuove ricette. Ci sono uomini e donne che hanno ancora il piacere di cucinare e di farlo insieme.
Vorrei però aggiungere un’osservazione. Come ho detto mille volte, la tavola è occasione di relazione, di intrecciare legami, e la donna è per sua natura più portata a questo genere di cose. Le donne devono coltivare più che mai questa loro capacità di mettersi al servizio della famiglia e degli amici, questa sensibilità verso le esigenze di chi hanno vicino. Possono dare alla tavola il loro senso della bellezza e dell’eleganza ma soprattutto possono fare della tavola un atto di amore, perché il cibo è consolatorio e la comunità che si siede intorno ad un pasto si rafforza nell’unione reciproca. In una società sempre più individualista è un compito importante: lo devono svolgere tutti, ma forse le donne in questo hanno un talento in più. Non facciamoci sfuggire queste occasioni di amore e generosità.