In un post precedente (leggi qui) vi ho raccontato qualcosa a proposito della pasta fresca, delle sue origini e delle sue mille declinazioni gustose e creative. Ma quando è nata la pasta secca, quella che sicuramente contraddistingue noi italiani e che non manca mai nelle nostre dispense? Può sembrare incredibile, ma un cibo così nostro è stato inventato dagli Arabi ed è arrivato fino a noi in seguito alla loro conquista della Sicilia, nel IX secolo. Possiamo dire che la necessità aguzza l’ingegno e spesso le grandi creazioni gastronomiche nascono dal bisogno, da esigenze concrete.
Le carovane che attraversavano il deserto dell’Arabia facevano seccare l’impasto di farina e acqua per renderlo non deperibile e davano a quella pasta la forma di un cilindro perché così era maggiore la superficie di essicazione. Geniale. La pasta secca arriva dovunque nel Mediterraneo, a mano a mano che procedono le conquiste dei Musulmani: Palestina, Nord Africa, Spagna, Grecia, Sicilia e altri territori del Sud Italia. E’ curioso però che questo cibo abbia suscitato così tanto entusiasmo soprattutto in Italia e non altrove e che sia diventato addirittura il nostro piatto nazionale. Forse perché nella nostra penisola c’era già una notevole tradizione di pasta fresca. Sia quello che sia, quello tra l’Italia e la pasta è amore a prima vista e sarà un matrimonio indissolubile.
Si dà via libera alla fantasia e nascono formati di tutti i tipi: penne, pennette, fusilli, conchiglie, farfalle, pipe, spaghetti, vermicelli, bucatini … e mi fermo qui perché l’elenco sarebbe troppo lungo e necessariamente non esaustivo. La forchetta diventa indispensabile per questa pietanza bollente e scivolosa, ma farà fatica a diventare una posata di uso comune. Le forchette più antiche avevano due o tre rebbi ed erano più lunghe di quelle che usiamo oggi; servivano infatti non tanto per portare il cibo alla bocca ma soprattutto per infilzare quello che si prendeva dal grande vassoio da portata. Anche ai banchetti dei re e dei nobili mangiare con le mani era un gesto naturale e non disdicevole. Anzi, Caterina de’ Medici, andata sposa al Re di Francia (siamo nel XVI secolo) cerca di introdurre alla corte di Parigi l’uso della forchetta ma la novità viene accolta a corte con una certa diffidenza. Se il coltello è necessario per tagliare, il cucchiaio per quelle minestre che non si possono semplicemente bere, a lungo si penserà di poter fare a meno della forchetta. Non scandalizziamoci, bisogna ammettere che il contatto fisico con una pietanza non è sempre disdicevole; pensiamo al piacere di prendere con le mani una fetta di salame o di gustare dei finger food. Il senso del tatto è coinvolto nel rapporto con il cibo tanto quanto gli altri sensi.
Ma se questo è accettabile per alcuni cibi, non lo è per la pasta: quindi non è un caso se siamo stati noi italiani a diffondere l’uso della forchetta. Si attribuisce al ciambellano di corte di Ferdinando di Borbone, alla fine del 1700, la realizzazione delle forchette a quattro rebbi e più corte di quelle che si usavano solo per infilzare il cibo: in pratica, quelle che usiamo oggi. Comodissime per mangiare proprio gli spaghetti, visto che il Re non voleva rinunciare al suo piatto preferito anche in occasione di pranzi ufficiali, mantenendo però il giusto decoro a tavola. Il popolo invece, come rivelano alcuni quadri come questo di Saverio della Gatta dipinto all’inizio del XIX secolo, spesso mangiava gli spaghetti con le mani.
E ora un doveroso omaggio al mondo del cinema, con la mente che corre agli spaghetti-western, termine che indica quanto quel tipo di pasta sia diventato sinonimo di cultura italiana. Ricordiamo Alberto Sordi e le sue forchettate ne “Un americano a Roma” e Totò e famiglia che mangiano con le mani gli spaghetti nella memorabile scena del film “Miseria e nobiltà” (ecco lo spezzone che potete rivedere a questo link). L’ultimo omaggio alla bellissima e saggia Sofia Loren: “Tutto ciò che vedete, lo devo agli spaghetti”.