Ci sono serate che per tanti anni sono state una buona abitudine: le cene a casa con gli amici, gli appuntamenti al ristorante, la gita fuori porta alla ricerca di una degustazione di vini o della trattoria in una location suggestiva. Poi arriva questo dannato virus e butta tutto all’aria. Ricordo con particolare emozione la prima grigliata con amici dopo il primo lockdown: eravamo solo sei, in giardino, così all’aria aperta ci sentivamo più sicuri. Non ci sembrava vero di poterci guardare negli occhi, alzare i calici, mangiare in allegria, senza quel filtro del collegamento Skype, una finestra che ci permetteva di comunicare ma in modo purtroppo così distaccato e lontano. Poi è arrivata l’estate e ci sono state altre occasioni di piacevoli incontri, ma in autunno di nuovo eravamo tutti a casa, i locali erano chiusi e abbiamo dovuto anche rinunciare alle cene tra amici.
Abbiamo quantomeno imparato che nella vita non si può dare nulla per scontato. Tutto quanto sta accadendo mi sta insegnando ad apprezzare tante piccole cose che un tempo erano considerate una routine ed invece sono una grande ricchezza. In primis, appunto, le occasioni conviviali, che non si organizzano solo per soddisfare il palato ma anche e direi soprattutto per godere della bella compagnia di persone che ci sono care. Un’occasione di riflessione mi è stata offerta a luglio, quando abbiamo trascorso una serata alle porte di Milano con due amici “storici”, di quelli con i quali abbiamo condiviso tante cose nel corso della vita. Quelli che quando ti fai la domanda: “Se alle tre di notte sei in un’emergenza totale e devi chiamare qualcuno, su chi sai di poter contare?”, ecco loro sono le persone sulle quali posso contare (e viceversa, loro sanno che possono contare su di noi. Naturalmente augurandoci di non dovere mai vivere una situazione del genere). Ma riprendiamo il filo del mio racconto. E’ un sabato di luglio a Milano. Veloce scambio di messaggi su whatsApp della serie: “Ma voi che fate sabato?”. Siamo liberi, wow. A quel punto, ci si telefona e si parla. Sì, perché quei messaggini sono utilissimi per veloci scambi di battute, ma poi ci vuole la telefonata, quella vera, quella che ci fa sentire la voce, quella che permette di raccontare un po’ di cose, di ridere e scherzare, sfogarsi e confidarsi, di capire se la persona con cui sto parlando è allegra o triste, tranquilla o stressata. Cose che magari dai messaggini emergono, ma più a fatica, e magari a rischio di equivoci. Insomma, dalla telefonata capiamo che i molti impegni ci impediscono di organizzare una cena a casa e allora si prenota un ristorante. E già comincio ad apprezzare la situazione: per mesi i ristoranti sono stati chiusi, e l’idea che in quattro e quattr’otto e con la massima naturalezza si possa organizzare una serata così è davvero consolante. Come dicevo prima, quante cose belle e piacevoli venivano vissute come scontate, senza la consapevolezza che le cose belle sono dei doni, sono cose delle quali ringraziare, delle quali essere riconoscenti alla Provvidenza, alla Fortuna, chiamatela come volete voi, quali siano le vostre convinzioni. Ma in ogni caso, bisogna ringraziare.
Arriviamo al ristorante all’ora del tramonto: siamo nella campagna a sud di Milano e i colori sono bellissimi. Lo so, voi penserete che il paesaggio di una cena in riva al mare o su una terrazza di una malga in montagna è decisamente più suggestivo di quello della Pianura Padana, ma sarà la gioia di quella serata inaspettata, la consolazione di essere all’aria aperta con buoni amici, mi vengono in mente le parole di Alessandro Manzoni: «Quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace». Perché davvero la location è bellissima e i colori della campagna, del cielo al tramonto, del verde degli alberi trasmettono un senso di pace. La foto che pubblico qua sotto è stata scattata quella sera.
Mangiamo molto bene e beviamo un San Colombano riserva, un vino Doc della provincia di Milano di grande qualità. A tavola gli argomenti non mancano: ci lasciamo andare a ricordi, a quando abbiamo conosciuto persone che venivano da paesi lontani, anche da altri continenti, le abbiamo ospitate a casa nostra, abbiamo condiviso con loro brevi tratti della nostra vita ma ci hanno lasciato ricordi indelebili. Ricordiamo vacanze fatte insieme, piccole e grandi avventure; ci raccontiamo naturalmente quello che stiamo facendo, le cose belle e meno belle che ci circondano, le difficoltà nostre e degli amici più cari; le opportunità che si schiudono davanti a noi; la preoccupazione per un futuro sempre più incerto, che ci costringe a fare il surf per galleggiare tra le onde del mare un po’ troppo agitato. Ma tutto sembra un po’ più lontano, perché le serate con gli amici, quelli veri, hanno questo potere: danno speranza e sono un balsamo sulle nostre vite affaticate. Mi sembra di sentire la voce di Dama Baccador, la dolce e premurosa compagna di Tom Bombadil, che tranquillizza gli hobbit ospitati nella loro casa: «Non temete i rumori notturni! Sappiate che nulla può attraversare porte e finestre e nulla penetra in questa casa, salvo il chiarore della luna e delle stelle e il vento della cima del colle». Ho provato la stessa sensazione di serenità. Fuori ci sono Cavalieri Neri e orchi. Ma quella sera tutto era lontano. Potere di una cena tra buoni amici.