Nel libro autobiografico “Il sogno di Solomeo”, l’imprenditore Brunello Cucinelli racconta la sua vita, l’infanzia nella famiglia contadina e poi l’avvio dell’attività di produttore di maglieria in cashmere, che grazie alla sua creatività e alle sue capacità manageriali lo ha portato ad avere oggi un’azienda di alta moda nota in tutto il mondo. Cucinelli sottolinea spesso quanta importanza abbiano avuto e continuino ad avere nella sua vita la filosofia e il pensiero greco e romano, la religiosità e in particolare la Regola di san Benedetto. Qualche conseguenza concreta? Nella sua azienda alle 17.30 si finisce di lavorare, perché per Cucinelli il lavoro ha un ruolo importante nella vita, ma bisogna dare il giusto spazio a tutto il resto. Dopo quell’orario e nel fine settimana i suoi collaboratori non possono inviare email di lavoro. Ha restaurato il borgo medioevale di Solomeo, che oggi è il centro della sua vita familiare e lavorativa, sede della sua azienda e di una scuola di mestieri, dimostrando così un legame forte con la sua terra, la storia e le tradizioni; ha costruito un teatro e si dedica alla promozione di attività culturali; si è impegnato concretamente nelle iniziative di ricostruzione dopo il terremoto in Umbria, in particolare del Monastero di San Benedetto a Norcia; diffonde nel mondo del lavoro quei principi che lui stesso definisce di “capitalismo umanistico”.
Le sue origini contadine, la vita di campagna scandita dalle stagioni e da riti basati sulla solidarietà e sulla profonda unione tra i tutti i membri di una grande famiglia patriarcale, hanno sicuramente segnato la sua formazione di uomo. Alcuni passi del primo capitolo del libro sono molto profondi e significativi. Per la mia rubrica “Distillati di sapienza”, oggi vi propongo questa descrizione della tavola della sua infanzia, che mi sembra molto in armonia con lo spirito di Pane & Focolare.
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La sera ci trovavamo insieme intorno alla luce vivida della grande lampada ad acetilene, ed era bello, soprattutto d’inverno, quando il sole più presto scompariva dietro alle colline. I gesti silenziosi e calmi di mia madre nel disporre le stoviglie, il suono dei bicchieri che toccavano i piatti, il tintinnio delle posate, così sereni, li ricordo come la melodia più bella; erano il simbolo della famiglia, liturgia serale. Quella della cena era l’esperienza più significativa della nostra giornata, sempre uguale a sé stessa e sempre nuova e desiderata. Non dimenticherò mai lo sguardo amorevole di mia madre, che aveva attenzioni per tutti.
I sapori semplici non hanno affatto meno gusto dei più raffinati, l’acqua e un pezzo di pane danno il piacere più pieno a chi sa apprezzare questi valori. Vivere con poco non solo è salutare, ma ci libera dall’apprensione verso i bisogni della vita, ci protegge dagli imprevisti della sorte e, quando per rara avventura fossimo diventati ricchi, ci fa affrontare consapevolmente tale fortunata condizione, che paradossalmente non sempre è così facile da vivere come comunemente si crede.
Pranzo e cena erano sempre preceduti da una preghiera di benedizione e di ringraziamento. La religione è una tradizione antica e un’esigenza spirituale viva, e com’erano belli i rintocchi della campana della chiesa parrocchiale che scandivano armoniosamente le fasi della giornata, delle stagioni, degli anni. Il concetto del sacro permeava ogni cosa. La parrocchia si trovava in paese, non molto vicina alla nostra fattoria, ma i rintocchi li sentivamo sempre, anche se il vento soffiava in direzione contraria. Il sacrestano faceva suonare la campana anche quando era in arrivo un temporale, e allora, se eravamo nei campi, tornavamo a casa di corsa, e lì pregavamo fitto fitto perché Dio non mandasse la grandine, che significava distruzione dei raccolti, rovina di una stagione.
Forse anche da tutto questo senso del sacro nacque in me l’attrazione per la vita spirituale dei religiosi, il loro silenzio, la meditazione, la preghiera; e forse anche per questo, quando posso, conduco una parte delle mie giornate in solitudine, che ricerco come un amico lontano ma sempre amato e prezioso.
Il fuoco era, come ho raccontato, il luogo fisico e simbolico attorno al quale ci raccoglievamo. Nei censimenti antichi la parola “fuoco” veniva utilizzata addirittura per identificare un’unità famigliare.
In genere a tavola si pronunciavano poche parole, e i silenzi tra quelle erano lunghi; eppure eravamo tutti in comunione; gli occhi dei genitori ci parlavano del loro amore verso di noi, e ci pregavano di ricambiarli. In fondo la preghiera è anche nostalgia dell’anima, un sentimento che provavamo ancor più forte soprattutto a Natale.
Brunello Cucinelli. “Il sogno di Solomeo”, Feltrinelli ed, pagg. 25-26.
Che meraviglia.
Il nome di Cucinelli m’è rimasto impresso in mente quando lessi, non molto tempo fa, un’intervista fattagli da Panorama che mi aveva colpito molto.
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