Un chiarimento necessario, per evitare equivoci (ma sono in buona compagnia)

Ogni tanto incontro qualche amico che, guardando il mio blog o i miei profili sui social network, mi canzona bonariamente, a proposito della mia passione per la buona tavola. Se leggesse con più attenzione capirebbe con che spirito svolgo questo impegno culturale: non c’è ricerca di un piacere fine a sé stesso, per me la tavola è luogo di convivialità, di amabile conversazione con le persone più care, è occasione di dono e generosa condivisione.

Sono in buona compagnia, in questo equivoco: anche Gesù veniva considerato un mangione e un beone, come si legge nel Vangelo di Matteo (cap. 11, 19). I tanti episodi che lo ritraggono a tavola dimostrano però che il suo obiettivo era quello di entrare in profonda confidenza con tutti. E cosa c’è di più efficace di un bel pranzo insieme per fare amicizia, entrare in empatia, legarsi profondamente? Quanti miracoli ha fatto Gesù a tavola: ha trasformato l’acqua in vino, moltiplicato pani e pesci, ha cucinato pesce arrostito e focacce sulla spiaggia. Se vogliamo fare del bene agli altri, cucinare per loro, accoglierli generosamente alla nostra mensa è un modo molto diretto per dire: «Ti voglio bene, voglio che tu stia bene

La tavola di tutti i giorni a casa mia è quasi sempre sobria e leggera, ma gustosa, perché anche nella semplicità il cibo sa essere gratificante (ma quanto è buono un bel piatto di spaghetti al pomodoro!). L’apparecchiatura è accurata, se beviamo un bicchiere di vino non può mancare un calice. E’ un gesto di attenzione verso noi stessi, perché circondandoci di cose belle siamo più portati alla serenità e troviamo pace e consolazione.

In conclusione, mi identifico perfettamente con le sagge affermazioni di un grande esperto di gastronomia, Pellegrino Artusi, l’autore del libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, pietra miliare della cucina italiana (ne ho già parlato nel mio blog, leggete qui). Conclude la sua prefazione con queste parole: «Non vorrei però che per essermi occupato di culinaria mi gabellaste per un ghiottone o per un gran pappatore; protesto, se mai, contro questa taccia poco onorevole, perché non sono né l’una né l’altra cosa. Amo il bello e il buono ovunque si trovino e mi ripugna di vedere straziata, come suol dirsi, la grazia di Dio. Amen.»

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