Per la rubrica “Distillati di sapienza“, vi suggerisco la lettura di questo articolo della dott.ssa Cristina Rubano, Psicologa, Psicoterapeuta specialista in Psicologia della Salute.
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Il cibo riassume in sé significati simbolici e relazionali che vanno oltre le semplici necessità fisiologiche che il nutrimento va a soddisfare. In tal senso possiamo parlare di cibo e rituali sociali trasversalmente alle epoche e alle culture, nel costruire e tramandare identità, ruoli, significati e istituzioni collettive. Il rito, e i rituali, in antropologia sono intesi come quegli insiemi organizzati di pratiche sociali ripetute nel tempo che provvedono a costruire modelli culturali atti a trasmettere valori e norme sociali, costruire e consolidare ruoli sociali, identità e coesione sociale. In psicologia si sottolinea il valore simbolico del rito e la sua rilevanza nello scandire momenti significativi dell’esistenza e della quotidianità riconnettendo l’individuo a dimensioni di significato collettive e sovra-personali.
Cibo e rituali sociali: la commensalità
Uno degli aspetti principali dei rituali sociali connessi al cibo è quello della commensalità là dove condividere il cibo secondo gesti e scambi ripetuti nel tempo fonda il senso di appartenenza e di inclusione in un determinato gruppo sociale, la gerarchia e la tipologia dei ruoli e dei rapporti reciproci fra i commensali. I rituali sociali connessi alla commensalità sono presenti universalmente, seppur con delle differenze, in tutti i gruppi umani, mangiare e bere insieme è una forma di scambio e condivisione utilizzata per creare e mantenere legami sociali assumendo una funzione socializzazione che istituisce i rapporti fra i commensali.
Cibo e rituali sociali: la post-modernità
Anche nelle società post-moderne e post- industriali, dove per molti aspetti la dimensione del rito si è fortemente contratta (si pensi ai riti religiosi, matrimoniali e ai riti di passaggio), sono diffuse pratiche ritualizzate riguardanti cibo e commensalismo: basti pensare ai significati connessi all’uso di bevande alcoliche, della preparazione di certi piatti in occasioni di festa fino a pratiche tutte dei nostri tempi come quella dell’aperitivo. Tali “rituali” tuttavia hanno oggi più spesso valore laico e individualizzato rispetto a un tempo. Corbeau (1985) parla in tal senso di “nomadismo alimentare” là dove il consumo dei pasti avviene sempre più fuori casa e secondo tempi, luoghi e modi individuali e prescindenti da pratiche comuni.
Cibo e rituali sociali: la de-ritualizzazione
Le preferenze e le abitudini alimentari, proprio perché connesse a valenze identitarie e rituali radicate, sono di per sé stabili e relativamente resistenti al cambiamento, tuttavia abbiamo assistito negli ultimi 30 anni a notevoli modificazioni delle abitudini alimentari e dei significati rituali ad esse connessi. Sia per una globalizzazione e massificazione dei consumi che per una maggior differenziazione dell’offerta a discapito delle specificità locali. Questo fenomeno ha accompagnato quella che Herpin (1988) definisce “de-ritualizzazione” del cibo poiché il pasto e le sue valenze si stanno gradualmente destrutturando in favore di una sempre maggior assenza di regole, di luoghi, tempi e spazi comuni prima invarianti.
In un certo senso siamo quindi ciò che mangiamo o, meglio, si potrebbe dire che mangiando comunichiamo sempre qualcosa di noi, non solo come individui, ma come cultura cui apparteniamo.
Articolo pubblicato sul sito www.crescita-personale.it (qui il link all’articolo originale)
Cristina Rubano è Psicologa, Psicoterapeuta specialista in Psicologia della Salute. Lavora come libero professionista a Ciampino e a Roma; si occupa di psicoterapia, consulenza e sostegno psicologico, tecniche di rilassamento e Training Autogeno, psicologia dell’alimentazione e del comportamento alimentare. Membro delle rete P. A. S. S. “Psicologi Alimentari al Servizio della Salute” e curatrice del blog “Cibo per la mente” per l’Ordine degli Psicologi del Lazio.