Il silenzio del refettorio e la conversazione a tavola

Se c’è un luogo adatto alla conversazione, quello è la tavola. Lo dice anche la frase che ho scelto come sottotitolo del mio blog: “Se mangi con qualcuno passi subito ad un livello più alto di amicizia”. Abbiamo provato tutti questa esperienza: quando si mangia insieme la conversazione è più piacevole, scorre quasi naturale, si vince più facilmente la timidezza e il proprio riserbo. A tavola si diventa amici o comunque è più facile provarci (e riuscirci).

San Benedetto, come vi ho già raccontato (leggi qui), dà molta importanza al rito del pasto in comune, prescrive però che i monaci mangino in silenzio, ascoltando una lettura. «Alle mense dei fratelli non deve mai mancare la lettura […] e si faccia sommo silenzio, sicché non vi si ascolti bisbiglio o voce d’alcuno fuorché solo di chi legge. Quanto a ciò che è necessario per prendere cibo o bevanda, i fratelli se lo servano a vicenda in modo che nessuno abbia bisogno di chiedere alcunché. Se tuttavia vi sarà necessità di qualche cosa lo si chieda, piuttosto che con la voce, col suono di qualunque segno». (Capitolo 38 della Regola).

L’obiettivo della lettura in refettorio è quello di dare un alimento spirituale, oltre a quello materiale, ma anche quello di evitare chiacchiere frivole, dispute, discussioni.  Il lettore declama un passo della Bibbia, il capitolo di un libro di un Padre della Chiesa o della Regola, oppure la vita di un santo. Bisogna notare però che san Benedetto raccomanda cortesia e amabilità alla mensa comune: si tace ma ci si serve reciprocamente, badando che i propri confratelli ricevano il necessario. Si rispetta il silenzio ma anche la carità: nessuno deve essere totalmente assorbito dai suoi pensieri o dall’ascolto della lettura così da non accorgersi che al suo vicino manca qualcosa. Non c’è solitudine in quel silenzio e la comunità è molto unita: si mangia tutti insieme, allo stesso orario, ascoltando la lettura, servendosi a vicenda con attenzione e carità. Ci sarebbe solitudine se il monaco mangiasse da solo, quando vuole lui, senza rispettare gli orari comuni.

Chi storce il naso di fronte al silenzio della mensa benedettina dovrebbe considerare che la vera solitudine è quella che si sperimenta oggi in molte famiglie in occasione dei pasti. Si mangia infatti quando capita, a mano a mano che si arriva a casa; si apre il frigorifero, si scalda qualcosa nel microonde e si corre davanti al computer o alla TV. Se ci si siede a tavola insieme, alcune cattive abitudini prendono il sopravvento: televisione accesa, smartphone sempre a portata di mano, per leggere i messaggini o i post sui social network. C’è più comunicazione, socialità e attenzione al nostro prossimo nel silenzioso refettorio dei monaci.

Papa Francesco, in occasione di un’udienza del mercoledì, ha dedicato la catechesi al tema del valore della convivialità in famiglia e ha usato parole chiare ed efficaci a questo proposito: «Una famiglia che non mangia quasi mai insieme, o in cui a tavola non si parla ma si guarda la televisione, o lo smartphone, è una famiglia “poco famiglia”. Quando i figli a tavola sono attaccati al computer, al telefonino, e non si ascoltano fra loro, questo non è famiglia, è un pensionato». Mette in guardia da quel silenzio «che non è il silenzio delle monache, ma è il silenzio dell’egoismo, dove ognuno fa da sé, o la televisione o il computer… e non si parla. No, niente silenzio. Occorre recuperare quella convivialità familiare». (11 novembre 2015).

Il refettorio dei monaci ci insegna che c’è una grande differenza tra il triste silenzio della solitudine nella quale rischiamo di rinchiuderci in questa società sempre più individualista e al contrario la ricchezza del silenzio di una comunità che con i suoi gesti produce unità, comunicazione molto efficace e profonda carità fraterna.

A tavola noi laici possiamo parlare, anzi dobbiamo farlo, facendo tacere però tutti i mezzi elettronici che uccidono la conversazione. La tavola è una grande occasione di comunicazione. E poi possiamo anche fare silenzio, ma per dare spazio agli altri di parlare, per comprendere l’altro, per assaporare le sue parole, per trovare a nostra volta le parole più giuste da dire al momento giusto. Anna Maria Canopi, badessa dell’abbazia benedettina dell’Isola di San Giulio sul Lago d’Orta, scrive: «C’è molto più spazio per gli altri quando si tace».

5 commenti su “Il silenzio del refettorio e la conversazione a tavola

  1. Celia ha detto:

    Pur con la televisione in sottofondo (che a sua volta diventava facilmente un pretesto per avviare conversazioni sull’attualità più e meno seria), a casa mia si è sempre mangiato insieme, allo stesso orario per quanto possibile (e quando tornavo, per esempio, più tardi perché frequentavo le Superiori, chiacchieravo comunque con i miei, presenti nella stessa stanza seppur facendo altro).
    Ora che sono sola questo scambio non è venuto a cadere, ma si è trasformato. Certo, non ci sono più conversazioni a chiara voce; ma continuo a inframmezzare anche il momento dei pasti con riferimenti, brevi battute di commento e condivisione con la presenza in spirito di molti altri a me legati.
    Ho più libertà di movimento e sto variando alcune abitudini, ma non viene meno il senso dell’importanza di dedicarmi a quanto sto facendo. A volte il televisore è acceso, a volte no. A volte accompagno un cibo con una musica che mi suona particolarmente adatta, a volte ascolto un bel silenzio ed i suoni delle posate, dei bocconi portati alla bocca. Una breve conversazione infine rimane, fissa, nel ringraziamento per quanto è donato e nel pensiero a chi mi ha lasciato ingredienti, prodotti, ricette e memorie… di lavoro, oltre che emotive.
    Riconosco ciò di cui parli.

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  2. […] QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE […]

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  3. Massimo ha detto:

    Sono stato ospite a pranzo in un monastero benedettino. C’era il lettore, che però non avevamo neanche finito il primo ed aveva già chiuso il libro. La conversazione è partita subito e l’argomento era il festival di Sanremo della sera prima: io ero l’unico a non averlo visto…

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    • Admin ha detto:

      Che esperienza monastica! La Regola di San Benedetto ripete spesso il principio in base al quale l’abate può decidere, a sua discrezionalità, di allontanarsi dalla regola generale, se è opportuno per il monastero e i suoi ospiti. Mi è accaduto di partecipare a pranzi monastici, dove la lettura si concludeva a metà del pasto e si conversava, ma su cose comunque edificanti. Ma parlare del Festival di Sanremo … fa tristezza. Buona giornata!

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