“Per mangiare il tacchino bisogna assolutamente essere in due: io ed il tacchino“. E’ una delle tante battute di Gioachino Rossini, il compositore marchigiano del quale in quest’anno 2018 si celebra il 150° anniversario della morte. La sua produzione musicale spazia tra vari generi ma è soprattutto l’opera lirica ad avergli dato la fama: Il Barbiere di Siviglia, L’Italiana in Algeri, Guglielmo Tell, per fare solo qualche esempio. Ma Rossini era anche un uomo che sapeva gustare i piaceri della vita, con una autentica passione per l’enogastronomia: «Non conosco un’occupazione migliore del mangiare, cioè, del mangiare veramente. L’appetito è per lo stomaco quello che l’amore è per il cuore. Lo stomaco è il direttore che dirige la grande orchestra delle nostre passioni».
La sua attività musicale lo portò in giro per l’Europa e dovunque soggiornasse amava scoprire i prodotti della tavola di quella regione. A Parigi Rossini entrò in relazione con i migliori gastronomi e conobbe Antonin Carême, un grande chef al quale era stata affidata la cucina della famiglia Rotschild. Carême affermava che Rossini era «il solo che lo aveva saputo comprendere»: quando il musicista tornò in Italia, lo chef gli spedì un pasticcio di fagiano e tartufi e Rossini, evidentemente ispirato da quella leccornia, compose in suo onore un pezzo intitolato “da Rossini a Carême”.
La storia ci ha tramandato anche un curioso scambio di corrispondenza tra Rossini e il barone Rotschild: questi gli aveva spedito alcuni grappoli provenienti dai suoi vigneti, ricevendo questa risposta: «La vostra uva è eccellente, ve ne ringrazio, ma il vino in pillole non mi piace affatto». Il barone gli fece recapitare allora alcune bottiglie di Chateau-Lafite.
Rossini aveva infatti una grande passione anche per il vino, di cui era esperto conoscitore: amava conversare con i produttori, informandosi sui metodi di vinificazione. Presso la Biblioteca Laurenziana Medicea di Firenze è custodito un menu, preparato da Rossini, che colpisce per la scelta attenta dell’abbinamento vino/pietanza: il Madera sui salumi, il Bordeaux con il fritto, il Reno servito con il pasticcio freddo, lo Champagne sull’arrosto, l’Alicante e la Lacrima con la frutta e il formaggio.
I piatti che portano il suo nome, che nascono proprio dai suoi suggerimenti al cuoco, sono molto elaborati. Ad esempio il Tournedos alla Rossini: una fetta di filetto di manzo rosolato al burro, posto su una fetta di pancarrè dorato, con sopra una fetta di foie gras e una spolverata di tartufo, il tutto accompagnato dal fondo di cottura deglassato con il Madera.
Durante un soggiorno a Napoli ideò la ricetta dei maccheroni alla Rossini, la cui preparazione viene così descritta da un amico: «Fu allora che comparve Rossini, che con la sua delicata mano grassottella, scelse … una siringa d’argento. La riempì di purèe di tartufi e, con pazienza, iniettò in ciascun rotolo di pasta questa salsa incomparabile. Poi sistemata la pasta in una casseruola come un bambino nella culla, i maccheroni finirono la cottura tra vapori che stordivano. Rossini restò là, immobile, affascinato, sorvegliando il suo piatto favorito e ascoltando il mormorio dei cari maccheroni come se prestasse orecchio a note armoniose».
Come avrete ormai capito, adorava il tartufo, che metteva dovunque, anche nel condimento dell’insalata: «I tartufi danno a questo condimento una sorta di aureola, fatta apposta per mandare in estasi un ghiottone.»
Amava le uova cotte nel burro e accompagnate dal patè, e la sogliola con una salsa al burro. Quando compose il Guglielmo Tell, ideò anche una torta di mele che chiamò appunto “alla Tell” in onore dell’eroe svizzero che aveva centrato la mela posta sul capo del figlioletto.
Aveva una vera passione per il tacchino e confidava con tristezza: «Ho pianto tre volte nella mia vita: quando mi fischiarono la prima opera, quando sentii suonare Paganini e quando mi cadde in acqua, durante una gita in barca, un tacchino farcito ai tartufi.»
Rossini era un assiduo frequentatore di ristoranti alla moda: con atteggiamento non usuale per quei tempi (e nemmeno per i nostri!) quando entrava in un locale prima di accomodarsi al suo tavolo stringeva la mano al maitre, al sommelier e a tutti i camerieri ed infine andava a rendere omaggio allo chef: tale era la stima e il rispetto per la loro professione.
Una vita che trabocca di tartufi, vini, fois gras, burro, stufati, salumi e formaggi; amava comunque i prodotti genuini e caserecci della tradizione italiana. Scriveva al Marchese Antonio Busca: “I due stracchini ricevuti mi procurano la dolce reminiscenza della augusta madre sua che fu la prima a farmi gustare i nobili prodotti di Gorgonzola. Oh tempi felici! Oh gioventù!”
Per valorizzare la figura di Rossini in quanto raffinato cultore della buona tavola, è stato istituito a Pesaro il Comitato “La cucina di Gioachino Rossini”: nella sua casa natale, ora trasformata in museo, vengono organizzate cene e degustazioni nella cantina allestita nel seminterrato, con naturalmente il sottofondo musicale delle sue opere.
Una massima sintetizza bene la sua filosofia esistenziale: «Mangiare, amare, cantare e digerire sono i quattro atti di quell’opera comica che è la vita, e che svanisce come la schiuma di una bottiglia di champagne. Chi la lascia fuggire senza averne goduto, è un pazzo».