Eccoci entrati anche quest’anno nella Quaresima, tempo forte della vita della Chiesa, connotato anche da astinenze e digiuni. E’ un’occasione per riflettere sulla virtù della temperanza e sul vizio della gola (potete leggere questo post) e un famoso episodio biblico ci può aiutare a capire la profonda differenza tra i pranzi che sono splendide occasioni di gioiosa condivisione e quelli dove ci si lascia andare alle gozzoviglie, alla sfrenata ricerca del piacere e le conseguenze possono essere nefaste. E’ il caso della festa di compleanno di Erode, che si concluderà con la decapitazione di Giovanni il Battista. Conosciamo la storia, narrata nel Vangelo di Marco, e che ha ispirato tanti artisti: Erode si era innamorato di Erodiade, moglie del suo fratellastro, e aveva abbandonato la moglie. Giovanni aveva coraggiosamente rimproverato Erode per il suo comportamento immorale, ma era stato messo in prigione. Anzi, «Erodiade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.»
Arriva il giorno del compleanno di Erode e viene organizzata una grande festa, «un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea». Sono giunti fino a noi i racconti dei banchetti dell’epoca, sfarzosi e spesso eccessivi, come accade peraltro anche oggi quando si vuole organizzare una festa che non ha lo scopo di stare in gioiosa allegria con gli amici, ma che vuole essere ostentazione di ricchezza e potere.
Arriva la figlia di Erodiade, Salomè, giovane e bella, che danza sensualmente. Erode forse ha ecceduto nel bere: in ogni caso, la fanciulla gli piace e il contesto sfrenato della festa lo spinge a fare una promessa avventata: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò.» E le giura più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Scherzava? Aveva alzato troppo il gomito? L’atmosfera lo ha fatto andare su di giri, evidentemente, poiché dice sciocchezze che non pensa. Ma le dice, e davanti a tutta la corte. E quando la ragazza, istigata dalla madre, gli chiede «su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista», il re si rattrista ma non può dire di no. Ormai la situazione è fuori dal suo controllo. Ed ecco il vassoio, accessorio di un banchetto maledetto. Invece di essere usato per un pranzo d’amore e gioia, per portare in tavola gustose vivande che allietano gli amici, diventa un orribile strumento per mostrare a tutti la decapitazione del profeta, martire della giustizia e della verità.
Erode è stato imprudente, lussurioso, spavaldo. Ma non voleva uccidere il Battista: non aveva immaginato che le sue leggerezze lo avrebbero portato a diventare artefice di un delitto. A volte si crede di avere tutto sotto controllo, di potersi fermare in tempo. Come quando si fuma uno spinello e si crede che non faccia male né a noi stessi né a chi abbiamo accanto, e comunque “smetto quando voglio”. E non si capisce che si sta camminando lungo un precipizio, e si rischia di cadere per un nonnulla. La festa sfrenata favorisce la lussuria e a pagare sarà l’innocente.
Commentando questo episodio biblico, scrive così Giulio Cesare Federici, gesuita, predicatore di Esercizi Spirituali: «Il peccato ha la sua dinamica che si sviluppa, volente o no il peccatore. Non sapeva Erode Antipa dove lo avrebbe condotto quel pranzo disordinato che gli fece cadere tutte le difese e capacità di resistenza. Bisogna resistere al principio: una volta messa in moto la valanga del peccato, è difficilissimo, umanamente parlando impossibile arrestarla. Difficilmente un peccato esterno limita le sue conseguenze ad una sola persona; le conseguenze dei nostri peccati coinvolgono anche altri e i peccati degli altri coinvolgono anche noi, e non soltanto nel senso spirituale della comunione nel bene e nel male.» (Giulio Cesare Federici, I pranzi nella Bibbia, AdP).
La temperanza, l’attenzione al prossimo, la gioiosa condivisione del cibo siano sempre al centro della nostra tavola. Perché l’esempio di Erode ci mostra quanto possano essere drammatiche le conseguenze di un pranzo dominato dall’egoismo e dalla ricerca del solo piacere personale.