Autunno, tempo di castagne

Amo l’estate e quando arrivano i primi freddi dell’autunno un po’ mi rattristo, pensando all’avvicinarsi dell’inverno. Per fortuna l’autunno ci dona dei colori straordinari, con gli alberi che si tingono di tutte le sfumature del rosso e del giallo; la vendemmia e i suoi riti contribuiscono non poco al mio buonumore e funghi e castagne danno il tocco finale per farmi guardare alla vita con ottimismo. Oggi vi voglio parlare appunto della castagna. Nel giardino della nostra casa sul Lago Maggiore abbiamo ben quattro castagni e sono cresciuta ammirando con emozione la comparsa dei ricci, che di settimana in settimana cambiano colore, ad indicare che la maturazione sta seguendo il suo corso.

E poi ecco il momento della raccolta: dai ricci caduti si estraggono i preziosi frutti, con non poca fatica e rischio di pungersi. Quante volte mi sono punta e ho dovuto poi chiedere aiuto per estrarre gli aghi che mi si erano conficcati nelle dita! Poi con il naso all’insù cercavo i ricci ancora appesi ai rami, belli gonfi di grosse castagne: con un lungo bastone li facevo cadere, con manovre che agli occhi di una bambina sono spericolate e quindi divertenti.

Sono emozioni che abbiamo provato tutti e poi abbiamo trasmesso questa passione ai nostri figli: andare a raccogliere castagne è un rito dell’autunno che a nessuno dovrebbe essere negato, una specie di diritto dell’infanzia che dovrebbe essere tutelato dalle Carte internazionali a tutela dei bambini.

La castagna era conosciuta già nell’antica Roma e l’Italia sembra essere anche in questo caso la culla di questo frutto. Nel Medioevo era un bene prezioso e sono arrivati fino a noi regolamenti, leggi e statuti sulla gestione dei boschi di castagni, per garantirne la salvaguardia. La Lucchesia, in Toscana, era una zona particolarmente nota per i suoi castagni e lo è ancora oggi, così come il Cuneese in Piemonte, dove sono ricercatissimi i marroni, che si ottengono grazie a innesti e potature sapienti. In un documento parigino del XV secolo si legge che le castagne della Lombardia sono le migliori. Insomma, ancora una volta gli italiani non hanno rivali in fatto di gastronomia!

La fortuna della castagna è quella di fornire un ricco nutrimento, genuino ma anche molto sostanzioso, per sopperire alla mancanza di cereali. Era il cibo dei poveri, che permetteva di riempire la pancia ma con gusto. “Le castagne sono il pane della povera gente” si legge in uno Statuto toscano del Quattrocento.

I modi di utilizzo in cucina sono tanti, sia dolci che salati. Grazie ad una accurata e antica tecnica di conservazione, si possono consumare anche fuori stagione: si fanno seccare e macinare, ottenendo così la farina, con la quale si fanno il pane, gli gnocchi, il castagnaccio, le frittelle da servire con la marmellata o la Nutella. Il tacchino ripieno alle castagne è un must sulla tavola di Natale.

Le castagne lessate sono l’ingrediente base del golosissimo Monte Bianco. E che dire dei raffinati marron glacé? Sono solo alcuni esempi, ma se sfogliate un ricettario o qualche blog di cucina, vedrete quanti modi ci sono di cucinare la castagna e di sfruttarla al meglio.

Ma le caldarroste sono sicuramente nell’immaginario popolare il modo più semplice ma anche più evocativo che ci sia di gustare questo frutto. I caldarrostai agli angoli delle strade distribuiscono i piccoli cartocci pieni di castagne fumanti e profumate: nei pomeriggi gelidi d’inverno, mentre si passeggia nelle vie dello shopping alla ricerca dei regali di Natale, scaldano il corpo e il cuore.

La stagione autunnale ci regala anche le castagne “matte”, quelle degli ippocastani: non sono commestibili ma fanno parte anche loro del paesaggio dell’autunno. Le nostre nonne ci dicevano di tenere una castagna matta in tasca, per prevenire il raffreddore. Chissà perché. Ma confesso che ancora adesso, quando passeggio nella mia città e mi imbatto in un ippocastano, raccolgo una castagna e me la metto in tasca!

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