Distillati di sapienza – La via della bellezza a tavola: un’esperienza formativa

Ecco un altro post della rubrica: “Distillati di sapienza”.

Oggi vi suggerisco la lettura di un breve passo del libro di don Domenico CraveroAlimentare il corpo, nutrire l’anima. Cibo e affetti, gesti e parole attorno alla tavola” (Ed. Messaggero Padova, 2014). E’ un saggio dedicato al tema del cibo come momento di incontro tra le persone, «piacere che appaga il gusto ma che ancora di più rallegra il cuore, a causa della comunione che cresce tra le persone attorno ad una tavola. Quando le persone si vogliono bene, ciò che si fa intermediario dell’affetto e della cura reciproca, e i commensali possono divenire pane, l’uno per l’altro» (dalla quarta di copertina). Don Cravero, parroco della Diocesi di Torino, è coordinatore di comunità terapeutiche e curatore di progetti di promozione educativa rivolti ai giovani.

Buona lettura!

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Nel disorientamento etico attuale l’educazione non è irrimediabilmente perduta. Ciò che si è smarrito nella crisi della via etica può essere recuperato per via «estetica».

La via della bellezza può essere la nuova strada dell’educazione. La crisi profonda dei modelli etici e lo sgretolamento dei significati e dei valori condivisi, hanno prodotto una sensibilità particolare per i gesti e per i simboli della comunicazione interpersonale, esaltando la sensibilità, l’immaginario, l’emozione, la passione. La cura del bello è in grado di creare un varco nell’attuale emergenza educativa, tracciando nuovi percorsi dell’intesa tra genitori e figli.

Nelle società delle libertà individuali non è più sufficiente insegnare (raccomandare, spiegare, consigliare). Nel pluralismo individualistico anche la testimonianza è debole (ognuno può vivere come gli va). Ci vuole qualcosa di «magico» per comunicare e condividere sapere, piacere, bellezza. Non bastano le regole, è necessario vivere in famiglia, nella comunità e nella società esperienze performative.

I pasti (almeno in qualche occasione) possono appartenere a questo nuovo linguaggio. Possono diventare un modo impegnativo ed efficace di essere introdotti in un’esperienza di grazia, cioè di libertà. In questo caso, il cibo non è più trattato come materia da ingerire ma viene trasformato in «sacramento» dell’amore.

Per eliminare gli effetti nefasti della routine, per attenuare la pena dell’ambivalenza degli affetti, per rassicurare circa la certezza dell’amore, la tavola deve trasformarsi in rito. Le ritualità, infatti, hanno accesso alle regioni più oscure del mondo interiore, aprono a significati ancora inediti ma possibili. Il rito rende raggiungibile l’invisibile e l’indimostrabile, colma la distanza che separa gli individui e li allontana dalla loro interiorità emozionale e dai legami vitali.

La magia della tavola è il superamento della sottomissione ai meccanismi biologici del mangiare a favore di un’esperienza umanizzante che percepisce la realtà non più come prestazione o come «dovere» ma come grazia. Consiste nella conciliazione di un triplice amore: di sé stessi, dell’altro e, attraverso la materialità del cibo, del mondo intero. Questo risultato performativo presuppone un lavoro preliminare: l’accettazione delle regole della tavola, la collaborazione, la reciprocità della comunicazione e dell’attenzione e la condivisione del piacere.

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