Badia a Coltibuono: alle radici del Chianti

La strada si inerpica decisa e dietro l’ultima curva appare improvvisamente l’antico monastero che si staglia contro il cielo blu, in una giornata estiva in cui il caldo afoso non dà tregua. Dalla cima del colle il panorama è bellissimo: filari di vigne si alternano agli ulivi. Siamo in Toscana, nel Chianti senese, terra di vino e di olio. Badia a Coltibuono: il nome significa “abbazia della buona coltivazione”.  

I monaci Vallombrosani si insediano nel 1051 in cima a questo colle e fondano il monastero: trovano due sorgenti, grazie alle quali non manca mai l’acqua per bere, per cucinare, per la pulizia e per l’irrigazione dei campi. Le cronache narrano che sono i primi a coltivare l’uva Sangiovese, quella con la quale si fa il Chianti: meritano eterna riconoscenza da parte di tutta la regione, visto il benessere e il prestigio che ne sono derivati. Scavano la terra e costruiscono una bellissima cantina.

La loro vita scorre nella pace e nella fratellanza con tutti gli abitanti della regione, fino all’arrivo di  Napoleone: nel 1810 decide di cacciare via i monaci, mandandoli nell’abbazia di Vallombrosa, casa madre dell’ordine. Perché? Voleva mettere le mani su quell’edificio, sui suoi terreni e sulle bottiglie nella preziosa cantina. Qui cominciano varie peripezie della Badia: diventa il primo premio di una lotteria, vinta da un avventuriero romano, Giovanni Giraud, che di lì a poco è accusato di truffa e si libera della proprietà svendendola ad un barone polacco, che usa il monastero per portarci le sue amanti. La vita dissoluta e senza freni del barone lo porterà a sua volta alla bancarotta.

In tutti quegli anni le preziose vigne di Sangiovese dell’abbazia vengono abbandonate e tutto il lavoro di secoli va a farsi benedire. Eppure l’esproprio dei beni ecclesiastici era stato presentato come un meritorio intervento per togliere chissà quali ricchezze a quei fannulloni dei monaci, e aiutare così la povera gente. Risultato: avventurieri e baroni dissoluti danno fondo alla cantina nei loro festini poco edificanti, lotterie e vendite all’asta fanno passare la proprietà di mano in mano, i rovi coprono le vigne e la povera gente, che veniva aiutata dai monaci, non sa più a chi chiedere sostegno. Il giardino dei semplici che si trovava all’interno della Badia, con le sue preziose erbe medicinali, viene sradicato e sostituito da un elegante giardino all’italiana, per sollazzare le passeggiate delle amanti del barone.

Oggi la Badia a Coltibuono è di una famiglia milanese, che ha per fortuna voluto reimpiantare le vigne. Una parte dei giardino è ora coltivato ad orto, ricordando così il lavoro dei monaci. Grandi ciuffi di uno splendido cavolo nero fanno bella mostra di sé, facendo venire l’acquolina in bocca al pensiero delle grandi pentole di ribollita che verrà realizzata in autunno.

L’antico refettorio è ora un elegante salone, con divani, cassettoni pregiati e un pianoforte a coda. Là dove i monaci mangiavano in silenzio, ascoltando la lettura della Sacra Scrittura o di un Padre della Chiesa, ora probabilmente si tengono feste e serate culturali. Alle pareti, affreschi con ritratti di padri del Monachesimo, San Benedetto in primis. I monaci, prima di lasciare quei luoghi, avevano coperto con una mano di intonaco quelle pareti, per nascondere i preziosi affreschi, nel timore che i soldati li profanassero. Probabilmente erano giunti alle loro orecchie i resoconti di saccheggi perpetrati dai francesi. Gli attuali proprietari, facendo dei restauri, hanno scoperto l’esistenza di questi affreschi e li hanno riportati alla luce: un tocco di spiritualità che riemerge da secoli lontani, a ricordare chi ha costruito e abitato per 800 anni quelle stanze.

In un angolo, una chicca: la cassaforte del sale. Aprendo una piccola anta, chiusa a chiave, si vede una nicchia dove veniva custodito gelosamente il sale, prezioso e raro in Toscana, gravato da esose tasse da parte dei pisani, tanto da indurre i fiorentini, antichi rivali, a farne a meno per la preparazione del pane. Per questo il pane di Firenze e dintorni è senza sale.

In un corridoio c’è un buratto del 1700: un enorme setaccio, inventato da Leonardo da Vinci, molto pratico ed utile. I contadini della zona potevano sfruttare questa macchina per setacciare la loro farina: è tutt’ora funzionante.

Tutto in questa Badia ricorda i monaci: le sorgenti d’acqua, ancora utilizzate per l’impianto idrico della casa, il buratto, l’orto e naturalmente la cantina medioevale, con la sua temperatura costante, ambiente perfetto per le grandi botti dove riposa il Chianti, adesso come secoli fa. Ancora oggi viene utilizzato il colmatore delle botti, geniale invenzione di Leonardo da Vinci per garantire il livello costante del vino nelle botti ed impedire che l’ingresso dell’aria possa provocare l’ossidazione del vino e quindi il suo irrimediabile deterioramento.

E poi, sempre sotto terra, c’è la “biblioteca del vino”: un luogo affascinante, dove giacciono migliaia di bottiglie coperte di polvere, su scaffali che portano l’anno di produzione. La più antica è del 1937. In questo luogo così suggestivo si tengono delle degustazioni “verticali”: lo stesso vino, ma di annate diverse. E’ stata di recente stappata una bottiglia di Chianti Classico Riserva del 1946: era ottimo!

Mancano alcune annate, quelle della Seconda Guerra Mondiale: i nazisti hanno saccheggiato la biblioteca del vino. Le ideologie del XIX e XX secolo, di qualunque colore esse siano, manifestano un preoccupante elemento in comune: l’abbandono delle vigne e la profanazione delle cantine.

Oggi la Badia è ben conservata, vive ancora la sua missione di produzione di vino, ma ha perso la sua missione religiosa. La chiesa è ancora aperta e vi si celebra la Messa, ma solo nei mesi estivi. Frotte di turisti di ogni nazionalità vengono a visitare Coltibuono.

Eppure camminando in questi ambienti si sente di essere in presenza di qualcosa di sacro. Nella penombra della cantina sembra di vedere ancora i monaci che, appena finito di salmodiare, si mettono il grembiule da lavoro e si recano nella cantina a controllare i livelli del vino nelle botti. Altri accolgono i contadini che portano i loro sacchi di farina da setacciare nel buratto; altri sono nell’orto a coltivare le piante aromatiche e medicinali.

Lo spirito dei monaci vallombrosani aleggia ancora su questa Badia, casa madre del Sangiovese, luogo natale del Chianti.

5 commenti su “Badia a Coltibuono: alle radici del Chianti

  1. […] grande successo i post dedicati ai piatti tipici delle feste dei Santi. Vi ho raccontato i miei itinerari enogastronomici e ho intervistato persone che avevano tante cose belle da raccontarci sul tema della bellezza della […]

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  2. […] nel mio blog: se volete potete andare a rileggere quanto vi ho raccontato su Antinori, Banfi, Badia Coltibuono, Fattoria dei Barbi, […]

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  3. Anonimo ha detto:

    Molto molto interessante. Continua ad offrirci queste briciole di cultura.

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  4. […] via Badia a Coltibuono: alle radici del Chianti — Pane & Focolare […]

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