Gli chef star ai fornelli e alla TV: è vera gloria?

Come avrete capito, sono un’appassionata di cucina e di tutto quello che ruota intorno al suo mondo. Qualche volta guardo le trasmissioni televisive dedicate alla buona tavola e al turismo enogastronomico: si imparano nuove ricette, ci si erudisce sulle caratteristiche degli ingredienti, sui prodotti locali e sulle belle tradizioni dell’Italia o di altre nazioni.

Però non amo i talent show dedicati alla cucina, quelli che vedono il susseguirsi di una serie di prove nelle quali i concorrenti devono dimostrare cosa sanno fare ai fornelli, con la progressiva eliminazione dei cuochi bocciati e al termine della serie di puntate la proclamazione del vincitore. L’idea è interessante, ma quello che non apprezzo di queste trasmissioni è l’atteggiamento dei giudici, chef famosi che assumono in modo a tratti caricaturale e artefatto la parte dei cattivissimi: non esitano a manifestare disprezzo e scarso rispetto verso i concorrenti, con durezza e altezzosità.

Pare che sia proprio questo a divertire molti spettatori, ma quello che personalmente non capisco è come possa contribuire alla cultura della tavola una trasmissione dove lo chef-giudice insulta un concorrente: piatti che volano, turpiloquio, battute volgari sono all’ordine del giorno puntata dopo puntata.

Qualcuno potrà dire che tutta questa cattiveria in realtà è costruita a tavolino, è forzata, ma il problema è proprio questo: se a volte è stucchevole il buonismo di certe trasmissioni televisive, qui siamo all’opposto. Perché l’insulto e il disprezzo fanno audience?

Uno show dove cucinare è motivo di stress e tensione suscita in me ben poca attrattiva. Per me la tavola è gioia, piacere, divertimento. Certo, quelle sono delle gare, c’è tensione per la posta in gioco, ma non ho mai visto nei quiz televisivi il conduttore che insulta duramente il concorrente che ha sbagliato la risposta.

Il problema è: ma è davvero tutto studiato per fare spettacolo o nelle cucine dei grandi ristoranti l’atmosfera è veramente quella? Un conto è cucinare per familiari e amici; ben diverso svolgere quell’attività a livello professionale, in un ristorante di alta classe, dove basta un errore e le stelle conquistate a fatica possono andare perdute; dove bastano un paio di stroncature su quei siti web dove gli utenti recensiscono il ristorante, e la reputazione è rovinata ed è difficile poi riconquistare la clientela. Si lavora sotto pressione, lo chef sprona i propri collaboratori e volano parole dure se non si esegue a regola d’arte il piatto richiesto.

Leggo su un settimanale (Sette, 1 aprile 2016) che in Francia alcuni apprendisti cuochi hanno denunciato episodi di bullismo nelle cucine dei ristoranti: un assistente chef è stato licenziato (per fortuna) dopo aver ustionato la mano di un apprendista con un cucchiaio incandescente. Eric Guerin, chef stellato del ristorante La Mare aux Oiseaux, alla foce della Loira, ricorda che all’inizio della sua carriera lo chef gli fece appoggiare la mano su una pentola bollente per avere cucinato male dei funghi: ha ancora la cicatrice. Calci, carrè d’agnello in testa, comportamenti sessisti nei confronti delle ragazze, per farle sentire inferiori ai colleghi maschi: si racconta di tutto.

Se la posta in gioco è alta, nulla giustifica la mancanza di rispetto verso i propri collaboratori o episodi da codice penale: ci sono sicuramente modalità efficaci per motivarli a dare il meglio di sé sul lavoro, senza cadere in comportamenti che ricordano i tristi tempi dello schiavismo.

Ma se la vita degli apprendisti è dura, pare che quella degli chef non sia da meno: l’Università di Oxford ha effettuato uno studio, stilando una lista dei mestieri che causano più di frequente disturbi della personalità, e gli chef sono in alta classifica. C’è un lungo elenco di suicidi: Bernard Louiseau, chef del ristorante La Cote d’Or in Borgogna, nel 2003 si è sparato un colpo alla testa, dopo che alcuni giornali avevano ipotizzato il suo declassamento nella guida Michelin. Il ristorante dellHotel de Ville di Crissier, vicino a Losanna, è stato eletto da numerose guide il migliore al mondo, ma il suo chef Benoit Violier si è sparato nel gennaio del 2016: non ha retto allo scandalo, dopo avere subito una truffa. Aveva acquistato un grosso quantitativo di bottiglie pregiatissime, investendo pare alcune centinaia di migliaia di euro, ma le bottiglie non gli sono mai state consegnate: il truffatore aveva già messo in atto il tranello nei confronti di altri ignari ristoratori.

Il cuoco Phil Howard, due stelle Michelin al ristorante The Square di Londra, racconta in un’intervista al quotidiano The Guardian: “Pensate che noi cuochi abbiamo esistenze eccitanti? La verità è che sono degli inferni sulla terra”. Confessa di tenere a bada la sua angoscia con la cocaina.

Marco Pierre White è il più giovane chef inglese ad avere ottenuto le tre stelle Michelin, a soli 33 anni. A 37 anni ha abbandonato: nella sua autobiografia “White Slave” (Schiavo bianco) ha raccontato la sua vita infernale, fatta di droghe e ritmi di lavoro insostenibili.

Mi auguro che non sia così dappertutto, che questo stress sia limitato a quel mondo di altissimo livello. Si può svolgere questa attività in modo più che professionale e divertirsi? Io ne sono convinta.

Alcuni anni fa sono andata in un ristorante della Versilia, dove la sala da pranzo era divisa dalla cucina da una grande vetrata, così da permettere agli avventori di guardare i cuochi e i loro assistenti all’opera. Mentre cucinavano, ridevano e scherzavano; nonostante l’impegno continuo ai fornelli erano di buon umore e ben affiatati tra di loro. Trasmettevano ai loro clienti un’atmosfera di serenità, quasi da cucina familiare. Era una accurata recitazione perché sapevano di essere sotto gli occhi di tutti? Se era così, erano degli ottimi attori.

6 commenti su “Gli chef star ai fornelli e alla TV: è vera gloria?

  1. […] conclusa anche la decima edizione di MasterChef, una trasmissione che, come vi ho già raccontato (leggete qui), nelle sue prime edizioni non ha incontrato il mio favore: non apprezzavo l’atteggiamento dei […]

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  2. […] Se poi dobbiamo parlare della cucina inglese, mi viene in mente il noto aforisma secondo il quale in Paradiso il cuoco è francese, all’Inferno è inglese (noi ci consoliamo perché in Paradiso l’amante è italiano. Per il testo completo dell’aforisma, vedi la nota in calce a questo post). A parte gli scherzi, la cucina inglese non è proprio all’apice della gastronomia mondiale: a parte il classico roast beef, devo dire che faccio fatica a trovare piatti di mio gradimento e soprattutto cucinati come si deve. Per questo ho un ricordo commosso di una serata londinese alla Locanda Locatelli, il cui chef sta diventando una star della TV poiché è il nuovo giudice a Master Chef Italia. Le recensioni della nuova serie del popolare talent hanno promosso a pieni voti Giorgio Locatelli: elegante e serio, se deve portare critiche ai concorrenti lo fa senza umiliarli, ma con l’autorità di un maestro che vuole fare crescere l’allievo. Una ventata di classe in una trasmissione che come sapete non è nelle mie corde, proprio per quell’atteggiamento dei giudici che troppo spesso manifestano scarso rispetto verso i concorrenti. (vedi il mio post). […]

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  3. Anonimo ha detto:

    Molto interessante, certi programmi vanno decisamente criticati e ridimensionati, non sono scuola di buona educazione. Che poi la vita dei cuochi ai fornelli non sia facile, questo, l’avevamo intuito.

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  4. Alberto Vivenzio ha detto:

    L’ha ribloggato su Il sito di Albertoe ha commentato:
    …interessante …da leggere 😉

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