Oggi vi segnalo un articolo interessante, a commento di un fatto accaduto a Bologna: Simone Salvini, uno chef vegano, è stato invitato a cucinare alla mensa dei poveri dell’Antoniano ed è stato criticato da alcuni senzatetto, che non hanno gradito la sua cucina, giudicata troppo “light”.
C’è chi sceglie la cucina vegetariana o vegana come stile alimentare, per le ragioni più diverse e certamente rispettabili. Vi è però spesso il rischio che questa scelta, da un punto di vista culturale, sia influenzata da una linea di pensiero “di moda”, fortemente influenzata da un approccio ideologico, di stampo ecologista e animalista.
Per quanto riguarda l’iniziativa dell’Antoniano, è certamente lodevole impegnarsi affinché anche i poveri possano godere di qualità e bellezza nella mensa per loro istituita. Ma quando si cucina davvero per amore si pensa al benessere di chi siede alla nostra tavola: nell’episodio in questione non mi sembra che lo chef abbia tenuto in grande considerazione le esigenze degli avventori. Viene allora un dubbio: questi chef accettano gli inviti a cucinare alla mensa dei poveri per generosità o per farsi pubblicità? “Per forza i poveri dell’Antoniano di Bologna si sono rivoltati. Ma come? Già siamo poveri, mangiamo poco e male, ci sogniamo di notte polli arrosto e succulente carni alla brace e voi cosa fate? Ci rifilate verdurine lessate ben impiattate (neologismo che ormai ha valore dogmatico) e noi dobbiamo pure ringraziare?”
A questo link, potete leggere l’articolo di Andrea Zambrano: “No allo chef vegano, la fame non si placa col marketing”
L’ha ribloggato su Il sito di Alberto.
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