Birra: un’eccellenza monastica

La storia della birra è antica quanto l’uomo, le testimonianze archeologiche ci raccontano di produzioni di birra nell’antica Mesopotamia e in Egitto. Eppure quando noi mediterranei pensiamo alla birra, il pensiero corre all’Oktoberfest di Monaco di Baviera, ai popoli del Nord Europa, alle taverne dove si mangiano crauti e salsicce, ai pub irlandesi dove si canta e si gioca a freccette, ai fumetti di Asterix. Infatti il vino è la bevanda della festa per i popoli mediterranei, mentre la birra lo è per i popoli nordici, è tipica della loro tradizione, cultura ed economia. Vino vs birra, così come la civiltà dell’olio è contrapposta a quella del burro.   Ma perché? Certamente per motivi climatici: la vigna e l’olivo non danno una produzione soddisfacente oltre certe latitudini. Ma non è solo per quello: il processo di realizzazione della birra è più veloce rispetto a quello del vino e questo ne consente la produzione anche da parte di popoli nomadi, come lo erano i popoli barbari. Il vino al contrario è tipico di un popolo stanziale: ci vogliono molti anni per avere una vigna che produca grappoli adatti per una buona vinificazione e ci vuole molto tempo per avere poi un vino di buona qualità (e anni e anni per avere un vino superbo).

Le invasioni barbariche hanno provocato sconvolgimenti anche alimentari: la birra è penetrata con forza nell’area mediterranea. Nello stesso tempo, monaci e missionari che portavano il Vangelo nel Nord Europa hanno dovuto piantare vigne, per fare il vino e poter celebrare l’Eucarestia. Ma il clima e le abitudini dell’Europa centrale e settentrionale hanno contribuito a mantenere la birra una bevanda più consumata, rispetto al vino.

Nel XX secolo la moda della cultura anglosassone e americana ha provocato un’influenza anche gastronomica: al suono del rock and roll sono arrivati hamburger, fast food e steakhouse, dove la birra è d’obbligo. Si trattava nella maggior parte dei casi di birra industriale, ma a poco a poco la nostra voglia di prodotti di pregio ha, per fortuna, preso il sopravvento. Ecco allora venire su come funghi i birrifici artigianali, che producono birra a chilometro zero, con attenzione alla qualità.

Un segno molto positivo: perchè la birra ha una storia non solo antichissima ma anche molto nobile. E guarda caso ne siamo debitori ai monaci benedettini. Voi direte: ma in questo blog si parla sempre dei monaci! Ma che cosa devo fare se, andando alla ricerca della storia di un cibo di successo, salta sempre fuori un’abbazia?

Andiamo con ordine: la birra è una bevanda fermentata, moderatamente alcolica, composta da ingredienti estremamente semplici e naturali: acqua, lievito e cereali. Se ci fate caso, sono gli stessi ingredienti del pane. In effetti era soprannominata “pane liquido”. Ma la birra prodotta anticamente aveva alcuni difetti: era molto pastosa, densa e un po’ dolciastra, a causa degli zuccheri dei cereali. Inoltre si deteriorava presto, non si conservava.

Ma ecco arrivare i monaci, che fin dalla loro origine producono la birra: già a Montecassino nel settimo secolo le cronache parlano di  quella che potremmo chiamare la prima birra di abbazia. I benedettini sperimentano, provano nuove ricette, vanno alla ricerca dell’eccellenza, mescolano ingredienti, per ottenere l’equilibrio perfetto. Anche perché la rapida deperibilità della birra era un problema, per una mentalità che rifuggiva dallo spreco.

Ed ecco la grande scoperta: un monaco, a furia di provare e provare, aggiunge al liquido di fermentazione il luppolo, una pianta già nota per le sue proprietà terapeutiche che produce grandi fiori che sembrano pannocchie. “Chissà quanti esperimenti aveva fatto prima: il connubio piacque e si consolidò fino a diventare definitivo. I vantaggi dell’innovazione erano almeno due: il luppolo consentiva alla birra di chiarificarsi, di decantare e depositare i frammenti solidi, di diventare insomma una bevanda in senso pieno, più dissetante, più adatta ad accompagnare il pasto. Inoltre il luppolo introduceva un sapore amarognolo che, mescolato al dolce, incontrò grande fortuna. E se i vantaggi del gusto non fossero bastati, c’era anche che la birra si conservava meglio e più a lungo”. (Massimo Montanari, Il riposo della polpetta e altre storie intorno al cibo, Laterza). Infatti il luppolo agisce come antibatterico e conservante, donando stabilità alla birra e permettendole di mantenere a lungo le sue caratteristiche.

Ed ecco spiegato perché anche nella produzione della birra dobbiamo ringraziare i monaci. La tecnica basata sulla grande attenzione alla qualità si tramanderà nei secoli e ancora oggi c’è una bella differenza tra le birre d’abbazia e quelle di produzione industriale. Oggi come allora viene realizzata e venduta dai monaci per il loro sostentamento, per aiutare i bisognosi, accogliere i pellegrini, realizzare tutte quelle opere di carità che hanno permesso alle abbazie di essere un punto di riferimento non solo spirituale ma anche sociale ed economico.

Quando parliamo di birre d’abbazia il pensiero corre subito ai Trappisti (Ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza), la cui storia è molto interessante: ordine religioso basato su una regola monastica severa e austera, resiste alle persecuzioni della Rivoluzione Francese e addirittura si espande non solo in Europa ma anche oltreoceano. Alcune birre sono addirittura tutelate dal logo ‘Authentic Trappist Product’, altre birre monastiche, pur non essendo trappiste, sono comunque realizzate all’interno di  un monastero e il guadagno della loro vendita viene utilizzato per le necessità e per le attività caritatevoli dei monaci.

Gli esperti degustano la birra con la medesima attenzione con la quale si degusta un buon vino. E’ importante la scelta del bicchiere: in occasione di un viaggio in Belgio ho imparato che alcune birre richiedono il bicchiere alto e stretto, altre la coppa, altre ancora il boccale largo e panciuto, con il bordo superiore leggermente svasato. E poi attenzione al modo in cui si versa e alla temperatura di servizio.

Quando vedo i giovani che bevono birra dalla bottiglia, in piedi su un marciapiede, devo confessarvi che mi viene un po’ di tristezza. La birra ha una lunga storia, nobile e importante. Trattiamola con il dovuto rispetto.

Il mio consiglio? Bevete birre d’abbazia: e quando le stappate recitate la preghiera di ringraziamento per il pasto composta da Santa Brigida di Irlanda, badessa di uno dei primi monasteri irlandesi, presso Kildare, e prosecutrice dell’opera di evangelizzazione di san Patrizio (la santa che, secondo la tradizione, tramutò l’acqua … in birra):

Vorrei un grande lago della birra migliore

Per il Re dei re.

Vorrei una tavola carica di cibi più ghiotti

Per la famiglia del cielo.

Che la birra sia distillata dai frutti della fede

E il cibo sia l’amore che perdona.

6 commenti su “Birra: un’eccellenza monastica

  1. […] al sostentamento del monastero e alle sue attività caritative (se volete saperne di più, leggete qui). Si assaggia anche la birra del monastero della Cascinazza, alle porte di Milano, esempio recente […]

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  2. […] pratiche delle abbazie, di cosa si mangiava e secondo quali riti, della dieta dei Templari, della birra trappista e molto […]

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  3. […] si produce la birra, nel solco di una lunga storia di eccellenza monastica. Vi ho già raccontato (clicca qui) che anche per quanto riguarda la birra siamo debitori nei confronti del monachesimo, e non […]

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  4. […] della loro storia alla produzione di cibi e bevande di altissima qualità. Già ve ne ho parlato: birra, vino, champagne, formaggio grana. E i monaci pensano anche alla realizzazione di medicinali, […]

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  5. […] con ordine: già vi ho raccontato qualcosa sulla birra e in particolare su quelle d’abbazia.  I  Trappisti (Ordine dei Cistercensi della Stretta […]

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