Tutto ciò che ci riguarda parla di noi: il nostro modo di vestirci, di pettinarci, di utilizzare accessori, di muoverci, di gesticolare. Anche la tavola rispecchia ciò che siamo: può essere sciatta o elegante, sobria o ricercata. Dal modo in cui viviamo il rapporto con la tavola si capiscono tante cose della nostra vita e del nostro modo di pensare. Non è questione di ricchezza, sfarzo e ostentazione. Anche la più semplice tavola di campagna può essere bellissima, se la tovaglia è pulita e ricamata da mani pazienti; se i piatti sono scelti con cura, se i tovaglioli sono legati da una spiga di grano, se il centrotavola di fiori emana il suo profumo, se una candela illumina la stanza.
Chi produce piatti e bicchieri cerca la funzionalità, la robustezza, ma anche la bellezza e l’armonia. Ci sono veri artisti della porcellana, del vetro, del peltro, del rame.
Oggi si inventano oggetti pratici con materiali nuovi, con arditi giochi di colore e forme magari bizzarre e avveniristiche. Ma in fondo il concetto non cambia: la tavola deve essere funzionale ma anche bella, armonica, deve trasmettere stupore e felicità, ammirazione e giusto orgoglio della propria famiglia. Persino i piccoli elettrodomestici, gli oggetti pratici che aiutano i cuochi del XXI secolo, sono realizzati con un design attraente. La praticità, che oggi come ieri aiuta chi si occupa della tavola familiare, può e deve sempre andare a braccetto con la bellezza.
Perché? Perché a tavola ci sono le persone che amiamo, gli amici ai quali teniamo in modo particolare, gli ospiti di riguardo che vogliamo accogliere con il dovuto rispetto. Intorno alla mensa, si crea una magia che permette il consolidarsi dei rapporti umani: i genitori parlano con i figli, gli amici si confidano, i colleghi di lavoro instaurano una confidenza che alla scrivania dell’ufficio è più difficile creare. A tavola si ride, si scherza, magari si litiga, sempre meglio però del distacco e del silenzio di persone che vivono sotto lo stesso tetto oppure condividono esperienze di lavoro ma che non comunicano tra loro in modo efficace.
Il cibo ha i suoi riti, le sue liturgie: ha bisogno del suo altare e dei suoi strumenti. Gli oggetti della tavola non sono semplici accessori, sono componenti essenziali di quel rito.
Oggi tanti consumano i pasti nel cartoncino impermeabilizzato, nella plastica da imballo, come l’impiegato impersonato da Jack Lemmon nel film L’appartamento: torna a casa e scalda nel forno un cibo pronto, che consuma davanti alla TV. E’ una scena breve ma efficace, che rende evidente allo spettatore la triste solitudine di quell’uomo single.
Ci sono delle famiglie che mangiano così, in modo sciatto e trascurato. Si prende la scusa che non c’è tempo, che gli orari dei familiari non coincidono. Diciamo piuttosto che apparecchiare con gusto e attenzione è considerata un’operazione inutile, senza profitto apparente. Perché fare fatica? Con quale scopo? Quale vantaggio ne deriva alla famiglia?
Invece il vantaggio è notevole. Ci sono riti che cambiano profondamente l’ambiente circostante, che scaldano i cuori, aiutano a cementare il legame tra le persone. Sedersi ad una bella tavola, la sera, dopo una giornata faticosa, magari deludente, aiuta a ritrovare il piacere della vita. Chi apparecchia con cura e senso della bellezza manifesta ai propri familiari il desiderio di farli felici. Chi vede quell’impegno si sente amato, rispettato, si sente importante.
Ricostruiamo la famiglia anche creando bellezza sulla nostra tavola.
Ho apprezzato anche questo articolo sulla materia. E’ completo e spazia a 360 gradi.
Divertente il finale con lo scapolone che vive a panini… E’ una materia inesauribile a quanto posso constatare. Avanti così.
Perry
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L’ha ribloggato su Il sito di Alberto.
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