Il cibo al tempo della società coriandolare

Ci sono immagini efficacissime per descrivere una realtà,  parole che rendono l’idea del concetto più di mille discorsi. E’ il caso dell’espressione “società coriandolare” del sociologo De Rita. L’ha utilizzata in un articolo sul Corriere della Sera “Governare una società a coriandoli” (14 settembre 2007), parlando della società “di indecifrabile polverizzazione e di esasperato individualismo” in cui viviamo. Anche la cultura della tavola è stata intaccata da questa coriandolarizzazione.

Guardiamo la famiglia: istituzione sempre più in crisi, e lo si capisce anche dalle abitudini alimentari. I pasti sono sempre più irregolari, si fa colazione in fretta e furia (quando si fa colazione), stressati già di prima mattina. Si pranza fuori casa, questo è abbastanza inevitabile con i ritmi moderni di studio e lavoro: i bambini e i ragazzi mangiano alla mensa scolastica, avendo  spesso il c.d. “tempo pieno”; oppure la corsa verso le attività pomeridiane li spinge a pranzare senza tante formalità, ingollandosi un panino o una merendina. Papà e mamma mangiano nella pausa pranzo, al bar o alla mensa aziendale.

Ma almeno a cena si dovrebbe condividere la tavola. Eppure ci sono famiglie dove nemmeno questo accade: si mangia quando capita, a mano a mano che si arriva a casa; i figli hanno orari complicati per attività sportive o per gli appuntamenti serali con gli amici; i genitori rientrano tardi dall’ufficio; basterebbe metterci un po’ di buona volontà e trovare un orario comune, ma quanti comprendono il valore di questo sforzo? Più facile lasciare ad ognuno la scelta di quando mangiare e cosa mangiare: tanto, che importanza ha mangiare insieme? E anche quando ci si siede a tavola, ecco le cattive abitudini che prendono il sopravvento: secondo un sondaggio, oggi il 72 % delle famiglie cena con la televisione accesa. Vogliamo parlare degli smartphone o dei tablet?

Oggi le persone vivono insieme ma si incrociano velocemente tra un impegno e l’altro. Aumentano i tempi di connessione virtuale ma diminuisce l’intimità, il parlarsi faccia a faccia.  Non si dedica più tempo alla cucina, viene considerata perdita di tempo. Perché dovrei dedicare energie ad una attività che non verrebbe gustata, apprezzata?

Fabrice Hadjadj, pensatore cattolico francese, in un’intervista concessa al settimanale Tempi ha affermato: «Qual è il luogo dove si tesse il tessuto familiare? Qual è il luogo dove le generazioni si incontrano, conversano, talvolta litigano e tuttavia, attraverso l’atto molto primitivo di mangiare insieme, continuano a condividere e ad essere in comunione? Questo luogo è tradizionalmente la tavola. Oggi invece sempre di più ciascuno mangia davanti alla porta del frigorifero per tornare più rapidamente al proprio schermo individuale. La tavola implica il raggrupparsi, entro una trasmissione genealogica e carnale. Il tablet implica la disgregazione, entro un divertimento tecnologico e disincarnato

Sempre più spesso il cibo è consumato senza parole: questo abbassa l’uomo a livello quasi animale. Non ci sono più orari comuni, rituali familiari, cibi di famiglia. Quando è festa è sempre più raro che si organizzi il pranzo di famiglia, cucinando manicaretti tradizionali, invitando amici. Rimane tuttavia incancellabile il desiderio di compagnia, perché l’uomo è un animale sociale, ma meglio fare notte in discoteca che cenare insieme con una certa forma e qualità. La festa assume i toni della trasgressione, dell’eccezionalità, e non della ritualità.

Ma cosa ha provocato tutto questo? Il pensatore brasiliano Plinio Correa de Oliveira risponde così: un lungo processo plurisecolare passato dal piano delle idee a quello dei fatti ha attaccato la società occidentale, creando scollamento e conflittualità tra l’uomo e le istituzioni ecclesiastiche, i corpi intermedi, le corporazioni, l’autorità statale, la famiglia. Il soggettivismo, il relativismo etico hanno dato giustificazione filosofica ed esistenziale all’uomo che crede di poter fare a meno di identità, di storia, di strutture, di tradizioni da rispettare, di una comunità alla quale appartenere e alla quale dedicare la propria esistenza ricevendo in cambio sostegno e solidarietà.

Che fare? In una società coriandolare il nostro compito deve essere quello di cercare di ricostruire la socialità, per passare dalla frammentazione alla ricostruzione di identità, appartenenze, comunità.  Anche la buona tavola può dare un importante contributo: cominciamo dalla nostra famiglia, impegniamoci a celebrare il rito della tavola con amore, attenzione, impegno, cura della bellezza. Cambiamo la famiglia partendo dalla tavola e le persone ne usciranno trasformate.

Provare per credere.

3 commenti su “Il cibo al tempo della società coriandolare

  1. […] Eppure questi prodotti sono molto apprezzati da chi ascolta le sirene del salutismo e soprattutto vuole dedicare poco tempo al pasto, mangiando quando gli fa comodo, senza formalità, e già questo è molto triste. Stiamo a poco a poco perdendo la manualità della trasformazione del cibo ma soprattutto stiamo perdendo la socialità della tavola, e su questo rischio ho scritto fiumi di parole (ad esempio leggete qui). […]

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  2. […] Eppure, quanti oggi non danno nessun valore al momento del pasto condiviso. Tanti giovani entrano in casa, vanno al frigorifero, prendono qualcosa di pronto, magari lo scaldano al microonde e vanno a consumarlo in camera, davanti al pc. La madre non se la prende, anzi questo le permette di fare altrettanto, mettendosi davanti alla televisione a guardare la sua serie TV preferita. Il padre non fa una piega, è stanco e non ha voglia di mettersi a parlare con i figli, con il rischio di essere coinvolto in qualche noiosa discussione su maestre e compagni di scuola prepotenti. E la famiglia piano piano muore, i suoi componenti si allontanano, non si è più famiglia ma persone che convivono. L’individualismo prende il sopravvento. […]

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